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Il volume è basso, questo lo colgono anche i sordi e tutti ne parlano a fine concerto. Ma c’è da aspettarsi che in uno spazio del XV Secolo in pieno centro non si possa fare di più. I Tame Impala arrivano con un sold out nella suggestiva Rocca Brancaleone per il Ravenna Festival, alla loro prima data italiana dell’estate organizzata in collaborazione con il Bronson. Come sottolinea il frontman Kevin Parker, è la prima volta che si fermano così a lungo in Italia e si nota. “Scusate per i denti neri, ma il vino qui è proprio buono” legge da un appunto preso sul braccio. Un po’ se ne intuisce l’”umore” dai sorrisi ebeti e dall’anomala “loquacità” dei cinque australiani.
Chi si aspetta violenza e vigore da un live dei Tame Impala ha sbagliato gruppo (vedi ultimi report a Milano, Brooklyn e Primavera Sound). Basta vedere che tipo di pubblico li segue e la relativa percentuale di “rocker” presenti. Basta vedere loro con questo mood da effeminati un po’ neo-freak trendy, un po’ anni Settanta. Scalzi, in skinny, ma con chiome curate. La band di Perth suona molto piana e monocorde, senza scossoni anche nei momenti più torridi e viscerali. L’impatto è molto atmosferico e in questo senso il volume basso non gioca a loro favore.
Visual 3D tra lisergia-stereotipo e animazione digitale degli albori. Il suono è liquido, dalla voce ai groove del nuovo bassista Cam Avery e del batterista Julien Barbagallo che ha preso il posto del duttile Jay Watson ora passato ai synth e ai sonagli.
Rinunciano alla b-side “Led Zeppelin” nell’introduzione e partono subito con l’eterea “Why Won’t You Make Up Your Mind” classicone da “Innerspeaker”, da cui ripescano anche la sincopata “Solitude Is Bliss” che smuove un po’ gli scettici e “Alter Ego”. Troppo poco, viste le esclusioni illustri di brani quali “Lucidity”, “It Is Not Meant To Be” e “Desire Be, Desire Go” e le contemporanee esecuzioni di jam allucinate e manieriste, tra cui un’impalpabile nuova strumentale, le due mini-suite alla mescalina (“Auto Prog 2” e “Auto Prog 3 come primo encore) e la “drum symphony” che risponde al nome di “Oscilly”.
Ma “Lonerism” ci è piaciuto molto e tutto sommato anche una “Elephant” col freno a mano gliela si perdona a cuor leggero. Perché preceduta da un altro brano stoner per gente ben vestita, “Half Full Glass Of Wine” dall’EP omonimo del 2008, solitamente devastante pezzo di chiusura, ma anticipata, forse come omaggio al vino locale. “Mind Mischief” è ruffiana come pochi pezzi al mondo, suona come “D’Yer M’ker” dei Led Zeppelin, ma dal vivo sembra avere una buona risposta dalla platea semi-annichilita. Le ottime “Be Above It” e “Endors Toi” di seguito completano l’anestesia.
Tra i momenti migliori, come sul disco, la stridente ballad lennoniana strappacuori (“Feels Like We Only Go Backwards”) e la visionaria “Apocalypse Dream” che partendo dalle smancerie psych dei Beatles si inoltra in sfondi onirici. Non senza onanismi tra assoli e pose da rocker timidi.
Anche la chiusura dopo lo sbarello da nostalgici space-rocker di “Auto Prog 3” è timida, con il brano di chiusura da “Lonerism”.
Timidi, a basso profilo, incostanti, gustosamente derivativi. Anche queste caratteristiche sono parte della loro formula di successo e non lo si scopre certamente oggi.
Why Won’t You Make Up Your Mind?
Music To Walk Home
Mind Mischief
Solitude Is Bliss
Half Full Glass Of Wine
Elephant
Auto Prog 2
Be Above It
Endors Toi
Untitled (new)
Feels Like We Only Go Backwards
Oscilly
Alter Ego
Apocalypse Dreams
—
Auto Prog 3
Nothing that Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control
(foto a cura di ©Maurizio Montanari – Ravenna Festival)
(Piero Merola)
10 luglio 2013