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Mi avvicino al nuovo album di Eleanor Friedberger con scarsa cognizione di causa dell’artista, leader di una band, i Fiery Furnaces, assai significativa nel panorama indie del decennio scorso. Ciò dovrebbe favorire un giudizio super partes, anche per il gusto di ascoltare e poter raccontare finalmente qualcosa di nuovo.
Tuttavia la Friedberger in questo lavoro a tinte intimiste sembra tirare in ballo il songwriting americano più classico quanto certo soft-rock radiofonico, riprendendo la lezione di Jackson Browne e Fleetwood Mac. Per azzardare un paragone, “Personal Record” si muove sulle orme del disco solista di Cristopher Owens, con risultati allo stesso modo alterni: ad un gran gusto per gli arrangiamenti e le soluzioni melodiche di ampio respiro fa da contraltare una scrittura a tratti ampollosa e fuori fuoco.
Il disco funziona alla grande nei momenti up-tempo, dallo scoppiettante singolo uscito a fine primavera “Stare at the sun” alla doppietta “When I knew” – “She’s a mirror”, irresistibili boogie da dancefloor. Nota lieta anche “You’ll never know me” grazie ad un approccio unico nella scaletta, con un bel solo di chitarra, voce effettata ed una base tra sintetico ed hip-hop. Altrove manca purtroppo originalità di fondo come in “I am the past”, che fonde i Rem di “Nightswimming” (sentite il passaggio dei fiati) con gli Everything But The Girl di “Love is a strange” (nell’arpeggio di chitarra). Ossimorica l’apertura di “I don’t want to bother you”: questo tentativo di emulare il sound degli ultimi Beatles, finisce per annoiare come copia carbone di alcune cose di Elton John. Per non parlare infine di “Echo or Encore”, malinconia in salsa easy listening che dopo un minuto di ascolto non puoi far altro che skippare.
Un gioco di equilibrio tra cose riuscite ed altre meno, volontà di guardare avanti e sindrome di rivalsa da abbandono. Peccato, perchè ti fai trattare così Eleanor? Se ti va una sera usciamo per una birra e ne parliamo.
61/100
(Matteo Maioli)
16 Settembre 2013