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Non sembrerebbe per quell’estetica un po’ Do It Yourself tipica della tradizione da scantinato hardcore da cui sono nati, ma i No Age hanno sempre avuto una mania per la dimensione artistica dei loro prodotti. Dell’oggetto inteso non solo come prodotto musicale, ma come confezione, con tutta la ricerca estetica che ci sta dietro. E del live come esperienza, coi visual ad accompagnare la loro esibizione dove non è l’anomalia della location a dare un impatto originale e sui generis. “Astrai una traccia di un disco come Harvest di Neil Young dal contesto di quel concept” mi avevano spiegato in un’intervista prima del loro ultimo concerto al Covo di Bologna, “Bella canzone, ma inserita nel concept dell’album assume tutto un altro valore”.
Con “Everything In Between”, ultimo disco, datato 2010 erano molto andati vicini a quella dimensione di concept album perfetto, lineare nella sua continuità e uniforme come produzione e impatto. Forse il punto più alto della loro carriera iniziata ormai otto anni fa negli scantinati di Los Angeles.
Nel quarto LP non rinunciano ad osare, rischiando anche di fare passare in secondo piano la portata dell’offerta musicale di questo “An Object” al cospetto di tutto il resto che lo accompagna.
L’album è stato prodotto, stampato e assemblato in casa con tutto il packaging, dopo una fase di crisi creativa le cui cause sono state attribuite da Dean Spunt proprio a quel senso di distacco tra l’artista e la sua opera che deriva dall’esistenza di intermediari nella produzione e nella distribuzione.
Nonostante tutto, i No Age restano legati a un contratto per la Sub Pop che all’inizio non l’ha presa benissimo. Poi ha accettato e autorizzato di buon grado la scelta della messa in commercio di un numero limitato di copie (5mila LP e 5mila cd). All’inizio i due avevano previsto di stampare solo copie artigianali, poi si è arrivati al compromesso. I 29 minuti in 11 pezzi di “An Object” di compromessi ne hanno pochi. Nonostante la scatenata batteria del vocalist Dean Spunt, suoni più ovattata, quasi compressa e schiacciata nei rigurgiti di bassa fedeltà post-punk hardcore e nei muri di suono fatti di fuzz e saturazioni. Non è un disco troppo dissonante o isterico come agli albori dei No Age, ma non è fatto per lasciare subito il segno come i due precedenti lavori.
Hüsker Du e Sonic Youth come punti di riferimento (vedi rispettivamente le essenziali e perfette “C’Mon Stimmung” e “I Won’t Be Your Generator”), “An Object” sembra suonato col freno a mano (“Lock Box”, altra rievocazione hardcore tenuta al guinzaglio). Ma sparato ad alto volume si rivela in tutte le stratificazioni chitarristiche messe su dall’alchimista alle pedaliere, il socio Randy Randall, aiutato da Facundo Bermudez ai suoni. L’apertura “No Ground” o “Defector/Ed” sembrano delle intro, dei preludi alle sfuriate di Spunt e invece restano sospese in aria, intense ma quasi incompiute. “An Impression” è una di quelle “ballad” malate che non hanno mai disdegnato. Come se in “Things I Did When I Was Dead” sbucassero fuori improvvisamente degli archi a rendere l’atmosfera ancora più desolante e cruda.
“A Ceiling Dreams Of A Floor” ci ricorda perché in “Everything In Between” si parlava della loro roba come dream-punk. Ci sarebbe anche “Running From A Go-Go”, che guarda all’indie anni Novanta, ma stupisce meno e suona già sentita. “Circling With Dizzy” guarda alla no wave di dieci anni prima, ma anche per merito del timbro di Spunt il tutto risulta istantaneamente riconoscibili come No Age. Non sono più giovanissimi, le due vecchie volpi della scena alternativa di Los Angeles. Prova ne sia la chiusura in cui la sperimentazione ambientale si estremizza. “Commerce, Comment, Commence” è un “Produci, Consuma, Crepa” 2.0.
Pensare volutamente a questo disco come “all’oggetto” inteso nella creazione, non aggiunge e non toglie valore alla produzione. Resta un pregevole oggetto dei No Age, che basta e avanza.
77/100
(Piero Merola)
5 settembre 2013