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Se è vero che la perfezione non esiste, sabato scorso all’Exenzia di Prato i Chameleons sono quasi riusciti a farci credere il contrario. Mark Burgess, membro fondatore dei fu Chameleons – ora Chameleons Vox – è il regista e l’attore protagonista di uno spettacolo toccante e commovente. E no, non sono le solite parole di circostanza. Burgess, insieme ai suoi compagni di viaggio, cattura davvero l’attenzione del pubblico presente, lo si vede negli occhi dei più vecchi – “veterani” degli anni ottanta – e dei più giovani, nell’entusiasmo dei fan più accaniti, in prima linea a cantare i testi delle canzoni ed anticipare sul tempo lo stesso Burgess, con sommo piacere e divertimento di quest’ultimo.
Un’illusione ottica fa quasi pensare che le luci sul palco siano sempre accese, anche quando si fa buio ed è più difficile vedere : in fondo la fiamma della passione (per il post-punk) non si spegne mai. Burgess si autodefinisce un punk cinquantatreenne e c’è da dire che la rabbia non gli manca di certo, a sostenerlo ha due validi chitarristi (Chris Oliver e Neil Dwerryhouse) e un ottimo batterista (Yves Altana), che lo fanno sentire a suo agio: si vede, e cosa più importante, si sente. L’atmosfera magica e surreale, che i Chameleons ci hanno regalato su disco nel triennio ’83-’86, prende corpo e si anima con violenza innocente e sublime candore. Burgess recita e declama con acceso fervore i grandi classici (tra i tanti, “Looking inwardly”, “Here Today”, “Soul in isolation”) e due pezzi del nuovo EP “M + D = 1(8)”, registrato a nome Chameleons Vox e in vendita al banchetto a fine concerto (“Feel the need”, “Sycophants”). E come nelle migliori storie d’amore (tra pubblico ed artista) non mancano i bis, chiamati a gran voce da una platea entusiasta e visibilmente emozionata.
(Monica Mazzoli)
19 dicembre 2013