Share This Article
Che il Nord Europa sia un posto interessante è ormai risaputo, i nordici non sono sulla bocca di tutti ma possiedono qualità riconoscibili: chi non vorrebbe sedersi sulle loro poltrone dal design minimal e affascinate o vestire le loro camicie a quadretti di flanella?! (non rispondete “Io no”). Il signor Anders Trentemoller è la conferma di queste qualità. Nel 2006 butta nella mischia il suo primo disco “The last resort” e la tripletta di brani “Take me into your my skin”, “Moan” e “Miss you” ne sancisce una standing ovation degna di un top player durante la sostituzione dell’ultimo minuto. Lui alla stretta di mano si presenterebbe come un “dj producer”, ma siamo sicuri che si può considerare una definizione corretta? O quanto meno esaustiva? Beh, caro Anders o vuoi fare il modesto oppure il finto tonto, perché questa definizione suona (tanto per stare in tema) stretta come un collant della signora Trinciabue di “Matilda sei mitica”. A mio avviso, ripeto, è limitativo considerarlo un normale dj che fa saltare le classiche folle perché c’è ben altro nel suo mix. Pensiamo un attimo (ahimè) ai molti remix, mash up insomma quegli intrugli che tutti abbiamo ascoltato, dove un pezzo come “Otherside” era inspiegabilmente unito ad una base degna degli autoscontri 2000 della festa del patrono, ora pensiamo alla sua versione del brano dei “Royksopp”, “What is else there”, e la differenza balza subito agli occhi, anzi alle orecchie. Personalmente oltre al primo e azzeccato album, la vera scintilla tra me e il folletto danese è scoccata quando ha miscelato i suoi battiti di tastiera con le chitarre e la voce dei Drums nel pezzo “Days” dove sono arrivato a preferire il remix che l’originale del quartetto di NY, non me ne voglia il signor Pierce si intende. Dopo il primo disco, nel 2010 Trentemoller ci fa un altro regalino e lo infiocchetta con il nome di “Into the great wide wonder”. Inconsciamente tutti abbiamo pensato “vabbé dai la techno-minimal a ‘na certa è quella!”. Sbagliato signori miei, sbagliato. Perché anche il secondo atto si rivela interessante e denso di suoni e melodie affascinanti che riescono a tenere il punto anche dopo un esordio che poteva rendere il danese la più classica delle meteore. Da quel pentolone melodico viene fuori prepotentemente “Shades of marble” che tra le tante suggestioni regala una parte psichedelica in onore dei suoi primi inspiratori, i Pink Floyd.
Ma arriviamo all’ultimo atto che completa la trilogia (si sa che il luogo comune più utilizzato, dopo il “non è caldo ma umidità, è “il tre è il numero perfetto”). Quindi ora che l’ho detto, e siamo tutti contenti, arriviamo al nocciolo della questione. Sì perché dopo due colpi del genere, è normale dire “non saranno tutti mica così” in stile compagno secchione che alla consegna dei compiti scritti dietro al suo foglio vedi sempre la solita valutazione mentre il tuo è talmente segnato che non arrivi a ricordare che colore di penna hai usato. Ma anche questo nel suo titolo è interessante, “Lost” è quello che si prova dopo l’ascolto di questo disco. Quindi: classica poltrona di fianco alla finestra e la tua camera diventa un viaggio dal biglietto indecifrabile.
E adesso cari, ve la sparo grossa, perché secondo il mio modestissimo parere, questo lo considero il miglior lavoro di Trentemoller. Infatti qua c’è di tutto, l’artista danese riesce a citare un sacco di generi senza cadere (come succede spesso) nel banale. Ad esempio con “Still on fire” accontenta gli amici nostalgici del gothic rock con suoni che riprendono Siouxsie and the banshees e i Bauhaus, fa felici i clubber più accaniti con il pezzo “Deceive” dove il vocal di Sun Rose Wagner si unisce al prepotente “colpo di cassa” degno della serata più carica del cartello mensile. Inoltre accontenta gli amanti dell’indie rock collaborando di nuovo con Johnny Pierce regalandoci un pezzo intitolato “Never stop running” che si rivela un mix tra battito e chitarra veramente intrigante. E poi prestiamo un attimo di particolare attenzione al brano “Costantinople”: il titolo dice già tutto, Trentemoller usa queste melodie che caratterizzano i classici suoni orientali e con questo pezzo sembra di aprire quei classici portoni dorati dei Marajà e perdersi nel suo castello musicale, il tutto contestualizzato in chiave techno. Il disco si chiude in bellezza con il brano “Hazed”, immaginando la classica hostess che dice “Grazie per aver scelto questa compagnia, alla prossima”.
Quindi in definitiva un disco molto valido e ricco di generi e stili: immaginiamoci una stanza, tante persone con differenti gusti stilistico-musicale e in mezzo un giradischi con “Lost” che va e tutti sono contenti e soddisfatti, no non è la pubblicità del Mulino Bianco, è “Lost”.
75/100
(Mario Coppola)
3 dicembre 2013