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Dio o chi per lui ci salvi dal folk degli anni Dieci. In pochi anni si è diffuso e ha mietuto parecchie vittime, una specie di epidemia che nonostante cominci a scemare continua a infastidirci le orecchie, e non poco. È in questo stato di fondatissimo pregiudizio (?!) che si accolgono tra le mani i dischi etichettati con la parolina “folk”.
Ma per fortuna esistono ancora eccezioni, cose buone che ci smentiscono con decisione. I Peggy Sue sono questo genere di “cose buone”: Rosa, Katy e Olly abitano tutti tra Londra e Brighton e da qualche anno suonano una roba piacevole che molto si avvicina al folk.
Il convincente esordio del 2010 (“Fossils And Other Phantoms”) e il secondo disco uscito un anno dopo (“Acrobats”) hanno dato loro una certa visibilità e i tour insieme a Jack White e Joan Of A Police Woman lo raccontano bene. Nel frattempo si sono divertiti anche con un progettino autoprodotto: rifare la colonna sonora di “Scorpio Rising”, un cult movie del ’63 che fece un casino non indifferente all’epoca della sua uscita (andate a leggere e vedere perché sembra davvero un gioiellino non indifferente). Insomma lo dicono i numeri e i nomi: i Peggy Sue sono tre bravi ragazzi a cui manca un disco bello tutto per diventare grandi.
Ed eccolo qui allora il terzo disco, “Choir Of Echoes”.
Il primo singolo “Idle”, lanciato in sordina a fine 2013, già faceva intuire che le cose per i Peggy Sue stavano cambiando, e in meglio. Non una svolta radicale eh, ma qualcosa di diverso c’è.
Ad esempio sta scomparendo il folk semplice degli esordi, le chitarrine e gli arrangiamenti piatti: le canzoni dentro a “Choir Of Echoes” sono buchi più profondi che arrivano a emozionare lo stomaco più e meglio di prima. Merito di una migliorata composizione della musica, che ora suona molto più rotonda: le chitarre scure, i bassi profondi e le tendenze al dream pop e alla new wave che finalmente escono allo scoperto. C’è anche qualche momento di piacevoli sorprese, come il finale west coast rock di “Always Going” o i fiati in “Just The Night” un attimo prima del refrain. Oltre a questi anche “Esme”, “Figure Of Eight” ed “Electric Light” contribuiscono a impreziosire il disco, ma è il pezzo di chiusura “The Errors Of Your Ways” quello più riuscito: un capolavorino che riprende e rimescola tutte le cose sentite fino a lì: le melodie calde, le voci dolci di Rosa e Katy che si appoggiano sulla batteria emozionale, intensa, cardiaca.
Arrivati alla fine si vorrebbe ricominciare subito, perchè “Choir Of Echoes” è un disco prima di tutto piacevole. Non solo: è un disco molto più completo degli scorsi, ed è per questo che non stanca, nemmeno nella prova dell’ascolto compulsivo. Questo significa solo una cosa, e cioè che i Peggy Sue stanno crescendo per bene. I suoni a tinte pastello non ci sono quasi più, ma se è vero che diventare grandi significa ingrigirsi, il modo di ingrigire di questi tre ragazzi è sicuramente quello giusto.
77/100
(Enrico Stradi)
12 febbraio 2014