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Sono i vincitori dello Spuntnik Rock 2013, di cui Kalporz è partner (anche nell’edizione di quest’anno). Andiamo a conoscere La Malta Bastarda.
Ciao Davide, partiamo da una doverosa presentazione de La Malta Bastarda, nome curioso…
Il nome si perde negli anni: il primissimo nucleo della band (di cui ora rimangono due elementi soltanto) suonava in un gruppo chiamato Cemento – al cambio di formazione seguì un cambio nome, ma non di area semantica. Infatti la malta bastarda è un materiale edile, una malta arricchita da detriti e ciottoli. Almeno credo. Quindi tranquilli, nessuno di noi ce l’ha con la simpatica e assolata isoletta in mezzo al Mediterraneo che di quando in quando respinge gli immigrati in mezzo al mare. O forse sì.
La Malta Bastarda dal vivo è Luca Ferrigno alla voce, Marcello Melotti al piano, Davide Cotti alla chitarra, Daniele Cosmi al basso, Elisa Sala alla marimba e trombone, Benedetto Ferrigno ai synth e voce, Carlo S. Tedeschi al clarone e sax, Lorenzo Scagliarini alla batteria. Alle prove facciamo l’appello prima di iniziare.
Il vostro ultimo album “Beata Ignoranza” è un vero e proprio crogiuolo di generi e colpisce per la complessità e lo spessore compositivo. Quali sono i vostri maggiori riferimenti?
Il materiale di Beata Ignoranza – ormai di 2 anni fa -, per quanto arrangiato e composto in un lasso di tempo piuttosto ridotto, è frutto di un’incubazione di diversi anni, e piuttosto anomalo: il background è un gruppo di musicisti con formazione anche classica che suona rock alternativo a metà anni 2000, per poi concedersi il vezzo (e la sfida) di organizzare un repertorio di standard jazz per alcuni anni. A questo punto il gruppo è più che altro un laboratorio: quando il materiale originale ricomincia a fluire nel 2011, è un figlio di molti padri diversi. Un figlio bastardo [ per chi lo volesse, potete ascoltare Beata Ignoranza sulla nostra pagina facebook (facebook.com/LaMaltaBastarda) in streaming, e a breve in free download sul sito di SputnikRock – se volete il feticcio plastico CD invece venite ai concerti, ne tiriamo manciate dal palco]
Il materiale che proponiamo ora dal vivo è frutto dello stesso approccio, portato ancor più all’estremo, e soprattutto con una più ampia tavolozza timbrica grazie all’aggiunta di synth, marimba e clarinetto basso.
Per quanto riguarda i riferimenti, avrai capito che il materiale umano de La Malta è variegatissimo: se non sto attento a cosa scrivo qualcuno si dissocia. Però mi azzardo a dire che una sensibilità comune passa dalle parti di John Zorn, e nei rivoli dei suoi infiniti progetti (dalla collaborazione con i Mr Bungle ai suoi lavori più celebrati, come Naked City o la discografia Masada). Ci sono molti altri artisti su cui ci troviamo d’accordo, ma in generale ci colpisce la musica che riesce allo stesso ad elevarsi e a ridere di se’ stessa (vediamo se questa me la passano!)
Questa complessità si ritrova anche nei testi e viene esacerbata da un interpretazione piuttosto teatrale. Di cosa parlano le vostre canzoni?
Ah! Il paroliere è Luca, il cantante, quindi declino la responsabilità per ogni inesattezza esegetica. Gli argomenti sono disparati, alcuni hanno spunti letterari (a memoria mi ricordo Poe e Saramago), ma in generale hanno a che fare con gli atteggiamenti sinceri o fasulli che le persone assumono nel loro rapporto con se’ stessi e o con gli altri. Da lì, il testo prende spesso pieghe iperboliche e grottesche ( “è più facile frullare e far passare un cammello per la cruna di un ago …”; ), con un occhio di riguardo per il ribaltamento dei luoghi comuni; qua e là saltano fuori citazioni culturali, ma se ce ne accorgiamo in tempo je menamo forte.
L’aspetto teatrale del live è una componente istintiva di Luca (una carriera mancata nel Kabuki, a parer mio), che mette anche la sua fisicità nell’interpretazione, quasi come se stesse sottotitolando il testo del brano. Forse punta al mercato estero – boh, non me l’ha detto.
Raccontami qualcosa di più sul processo creativo, siete un gruppo numeroso e son curioso di sapere se uno di voi dirige l’orchestra o se tutto nasce da una spontanea interazione collettiva…
Il gruppo si è in effetti allargato nell’ultimo anno, e si può iniziare a parlare di una piccola orchestrina. O di una gioiosa macchina da guerra.
Il metodo compositivo è sempre quello, comune a tutte le band: il compositore scrive in triplice copia la sua proposta e la inoltra in carta bollata, previo nulla osta dell’ufficio Dissonanze&Plagio, agli altri soggetti legali e stakeholders . A quel punto la fase di valutazione è un semplice doppio turno misto alla francese, con soglia di sbarramento per chi si presenta fuori dalle coalizioni. Chevvordì? Che scriviamo circa una battuta al mese!
Riepilogo fuor di metafora: il materiale che un musicista porta in sala prove di solito non è mai “chiuso” – in questo modo la composizione è anche uno sforzo collettivo, e il risultato rispecchia la migliore sintesi delle nostre singole sensibilità. Dopodiché impariamo il pezzo, fino ad essere agili, e dopo averlo proposto dal vivo iniziamo a lavorare di cesello e lima, per migliorare l’arrangiamento. In una band numerosa questo è un percorso lungo, ma fruttifero. Ma ci sono anche altre strade: un prossimo passo potrebbe essere creare un dialogo di improvvisazione collettiva – à la Bitches Brew – da cui poi estrapolare le parti composte; si tratta di capirsi senza parlare, e poter immaginare cosa sta per fare il tuo compagno, per poi ricamarci il proprio contributo: tutto ciò richiede tanto affiatamento, e moltissime ore di prove alle spalle – quindi ci vorrà ancora un po’.
Ho avuto il piacere di apprezzarvi dal vivo, sono rimasto molto colpito dall’energia e dal roboante susseguirsi di sonorità variopinte e ritmi forsennati. Quanto è importante per voi la dimensione live e cosa cercate di trasmettere al pubblico?
Mi fa molto molto piacere averti fatto quest’impressione!
Il live è un momento particolarmente libidinoso per noi; la nostra musica è un delicato equilibrio di carte, se qualcosa cade è facile che si tiri dietro anche il resto; quindi richiede molta preparazione in sala prove; sapere di essere arrivato ad un punto di poterla offrire ad un pubblico provoca già una grossa soddisfazione, ancora prima di avere messo un piede sul palco. Riuscire a suonare rilassati, sapendo che tutti i tuoi compagni hanno la situazione in pugno, rende tutto estremamente più godibile, e lo spettacolo viene da se’! Per quanto mi riguarda, quella è la mia fonte di energia sul palco: mi godo la musica che suoniamo, la ascolto e mi lascio sedurre, come in pochi altri momenti.
Al pubblico non chiediamo nulla: sappiamo bene di essere un po’ impegnativi a volte, ma fa parte del gioco. Personalmente, io punto ai perplessi: ci sono quelli che all’inizio del concerto ci guardano un po’spaesati, incerti se andare a farsi una birra dove c’è meno casino, o rimanere lì per vedere come va a finire quel brano che comunque non gli piace, ma da quando è iniziato ha già mutato forma tre volte. Se anche alla fine del live sono ancora lì, irresoluti e disidratati, per me è fatta.
Avete meritatamente vinto l’ultima edizione di SputnikRock. Al di là della vittoria, cosa vi siete portati a casa da questa esperienza?
Ah lo Sputnik! Ti dirò: all’inizio non conoscevamo il contest, e ci siamo iscritti all’ultimo su segnalazione di un amico (bella Gus!). Le serate sono state tutte molto belle, in particolare la finale: abbiamo suonato alla festa dell’Unità di Reggio con gli Empathee du Weiss e gli Undercover Brothers, due gruppi favolosi – sentire i loro concerti è stata una ventata d’aria fresca. Aver vinto ci ha permesso di suonare in locali importanti e fuori dalla nostra solita giurisdizione, e questo è veramente un bel regalo: mettersi alla prova in un ambiente dove nessuno ti conosce è parecchio stimolante. Spero che sia il volano per trovare degli altri concerti anche fuori regione!
I ragazzi dello Sputnik sono veramente in gamba, e si sono veramente dati da fare un bel po’ per noi! Non smetterò mai di ringraziarli, e speriamo di essere in grado di sfruttare al meglio le opportunità per farci conoscere che ci stanno regalando. Rispetto a molti contest che ho avuto modo di vedere, loro spiccano davvero per dedizione “alla causa”. Anzi, lancio una proposta: credo che sarebbe bello se oltre ad un concorso, riuscissero ad organizzare un festival!
Concludiamo con i vostri progetti futuri…
Non ti nego che ci piacerebbe fare un salto di qualità dal punto di vista organizzativo, e trovare una piccola etichetta misericordiosa che ci aiuti a spingerci un po’ più in là di quanto riusciamo a fare da soli. Dobbiamo registrare il nuovo materiale, e avere qualcuno che ce lo produce sarebbe una goduria. Il piano b è sposare collettivamente una ricca vedova e fare le prove nella sua magione. Ma siamo brutti.
(Michele Scaccaglia)
27 marzo 2014
foto del concerto al Corallo del 18.01.14
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