Share This Article
“Strade aperte e strade perse” è quello che dice Vasco Brondi in “Firmamento”, il primo singolo uscito poco tempo fa dal nuovo disco “Costellazioni”. Dopo il suo secondo album, quella che Brondi aveva di fronte era proprio una strada persa: il suo suono grigio e puzzolente di alghe dei lidi ferraresi che era anche piaciuto all’inizio aveva cominciato a stancare, e non si capiva bene per quanto ancora sarebbe andato avanti con questa tiritera, dove sarebbe andato a parare.
Torna quindi ora – a quattro anni di distanza dal suo ultimo disco, fatta eccezione per il minialbum “C’eravamo abbastanza amati” del 2011 – per concedersi alla folla antropologica di opinionismo e criticismo musicale, ben conscio del fatto che molti sono pronti a staccare la spina della Centrale Elettrica, se questo suo “Costellazioni” suonasse come gli altri album.
Forse tutto questo in realtà l’ho pensato solo io, ma l’impressione è proprio quella che Brondi abbia scommesso davvero tanto su questo suo ultimo disco. Dentro a “Costellazioni” infatti c’è molto di più di quello che c’era negli album precedenti: più musica, più suono, più voce. E lo si capisce già dal primo ascolto, dopo il quale rimangono in testa alcuni pezzoni, nei quali Brondi mischia il suo modo di fare musica con quello di alcuni grandissimi: “I destini generali” nel ritornello ricorda un pochino il Battiato dell’ 81, “Macbeth nella nebbia” sembra scritta e musicata insieme ai Massimo Volume, “Ti vendi bene” è praticamente una cover di un inedito dei CCCP.
Oltre a questo, non mancano le canzoni più tradizionali e “alla Vasco Brondi”, alcune riuscite, e alcune che non portano nulla di quello che già sapevamo (“Le ragazze stanno bene”, “Un bar sulla via lattea”, “Una cosa spirituale”). E poi pezzi ariosi che è impossibile non sentire nei polmoni (“La terra, l’Emilia, la luna”), tentativi di puro pop italiano (“Questo scontro tranquillo”) e ancora qualche altra citazione più o meno velata (“Punk Sentimentale” suona un po’ come lo Springsteen di “Nebraska”).
La convinzione che si crea man mano che “Costellazioni” suona è proprio quella per cui sembra che Vasco Brondi abbia cercato di crescere e migliorare allargando il recinto della sua musica anche ad altre influenze, che poco potrebbero c’entrare con lui, ma che invece arricchiscono davvero sorprendentemente il suono scarno a cui eravamo abituati. Gli si potrebbe puntare il dito contro, a Brondi, dicendo che poi alla fine la presunta crescita arriva appunto grazie alla roba degli altri, ma la questione è un’altra: “Costellazioni” è un disco nato per pulirsi dalle convinzioni che avevamo tutti, e va preso quindi per quello che è, e cioè un disco che scommette tanto su di noi che l’ascoltiamo quanto sullo stesso Brondi che lo suona e lo canta. E per ora la scommessa sembra vinta.
Si è aperto una nuova strada il ragazzo di Ferrara: stiamo a vedere dove porta.
71/100
(Enrico Stradi)
17 marzo 2014