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La nuova scommessa della Sub Pop è questa ragazzina biondo cenere che si chiama Lyla Foy e che solo gli espertissimi conoscono già per le cosine che ha cantato quando si faceva chiamare “Wall”. È proprio sotto quel banalissimo pseudonimo che nel 2012 ha fatto uscire il suo eppì di debutto (“Shoestring”), a cui fa seguito questo “Mirrors The Sky”, il suo primo album.
Sebbene intorno a lei stia crescendo un brusio non poco indifferente (non solo la firma per Sub Pop, ma anche lo streaming del disco su Pitchfork), in questo suo “Mirrors The Sky” Lyla Foy non cambia modo di fare le cose: quello che si ascolta è quel pop delicato e introspettivo che era tanto piaciuto nel dischetto di esordio di due anni fa. E figurarci, non ci aspettavamo fuochi artificiali: sarebbe stato ridicolo – quantomeno incomprensibile – cercare la botta a tutti i costi, soprattutto per un tipina educata del genere. È proprio per questa sua coerenza di fondo che “Mirrors The Sky” si fa apprezzare parecchio, perchè costruisce attorno alla cristallina voce di Lyla Foy un ricamo di suonerelli elettronici tiepidini che danno alle canzoni il giusto tono pop, ma senza strafare.
Però qualche piccolo difettino c’è: tutta questa incredibile scioglievolezza di Lindor finisce per amalgamare così tanto il disco che si fa fatica a ricordarsi un pezzo in particolare. Quelli che provano a farsi notare di più sono “Impossibile”, “No Secrets” e “Feather Tongue”
Se avete notato l’abuso di diminutivi utilizzati fino ad ora siete lettori attenti e/o pignoli, ma quello che si voleva dire senza farsi notare troppo è che “Mirrors The Sky” è un disco che piace proprio perchè resta dimesso e non esagera: il salto dal semi-anonimato alla Sub Pop poteva sentirsi fin troppo, ma in realtà rispetto alle cose dell’esordio Lyla Foy non cambia molto, pressochè nulla. Non ce n’è mica bisogno, bene così.
69/100
(Enrico Stradi)
10 aprile 2014