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Riavvolgiamo il nastro. Vi avevamo promesso che avremmo speso qualche parola sparsa anche su Relatos salvajes di Damián Szifron e non abbiamo intenzione di venir meno a questo impegno: presentato in concorso, Relatos salvajes è una commedia sapida, divisa in cinque storie diverse (più un incipit) tutte focalizzate sul progressivo imbarbarimento dell’uomo e della civiltà. A metà tra accumulo di barzellette yiddish e una vena sinceramente sarcastica, il film del giovane regista argentino convince solo in parte: certo, si ride di gusto (in alcuni casi anche fragorosamente), ma l’impressione è che il tutto rimanga sempre in superficie, e che la cattiveria ostentata tra morti carbonizzati, corruzione, bombaroli improvvisati, mariti fedifraghi e vendette familiari, sia in fin dei conti molto meno umorale e sincera di quanto possa apparire a prima vista. La presenza in concorso – dove, vista la composizione della giuria, dovrebbe fare molta fatica a lottare per qualche premio – è senza dubbio generosa, e trova una parziale spiegazione nella presenza, nel ruolo di produttore, di Pedro Almodóvar, da sempre grande amico del festival…
Chi invece ha mostrato di meritare fino in fondo la possibilità di dire la sua nella corsa alla Palma d’Oro è Le meraviglie, opera seconda di Alice Rohrwacher dopo il convincente debutto Corpo celeste – che trovò spazio sempre a Cannes, ma nella Quinzaine des Réalisateurs, nel 2011. La vita di una famiglia sui generis nei primi anni Novanta in Maremma diventa la cartina di tornasole di un’Italia che non c’è più, disgregata da una gestione della res publica che non ha tenuto conto della collettività: un viaggio doloroso eppure vitale, diretto con uno sguardo maturo dalla Rohrwacher e scritto per gran parte in punta di penna. Il finale, poi, lascia senza fiato. La mattina in realtà era iniziata con un altro film in concorso, Saint Laurent di Bertrand Bonello, ma lo abbiamo saltato a pie’ pari per recuperare alla Salle Marriott National Gallery, nuovo parto del maestro del documentario Frederick Wiseman, che concentra la sua attenzione (come suggerisce il titolo) sulla londinese National Gallery: si entra dunque non solo nelle stanze alle cui pareti sono appesi alcuni de più lucenti capolavori della pittura mondiale, ma anche nelle “stanze del potere”, quelle in cui vengono prese le decisioni sul futuro del museo. Una lezione d’arte, di comunicazione, e anche di come lo sguardo sia ancora elemento indispensabile dell’umano sapere. Applausi.
Gli stessi applausi che hanno accompagnato i titoli di coda di It Follows di David Robert Mitchell, in concorso alla Semaine de la critique, dove Mitchell aveva già portato l’ottimo teen movie d’esordio The Myth of the American Sleepover. Anche It Follows è un teen movie, ma si sposta da subito nei territori dell’horror per raccontare la storia della maledizione di Jay, ragazza diciannovenne perseguitata da esseri che la seguono, e dai quali non deve categoricamente farsi raggiungere. L’unico modo per scacciare la maledizione è passarla, attraverso un rapporto sessuale, a qualcun altro. Ironica e angosciante metafora della paura dell’AIDS, It Follows è fin d’ora promosso a oggetto di culto di questa sessantasettesima edizione, in attesa di altri colpi al cuore. Magari già oggi, quando passerà Jauja di Lisandro Alonso…
(Raffaele Meale)
18 maggio 2014