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Chiunque sia abituato a bazzicare per i festival del cinema, in particolar modo quelli di maggiore importanza, è perfettamente cosciente del rischio di incappare in una o più proiezioni così attese da rendere difficoltoso (se non impossibile) l’ingresso in sala. La divisione classista degli accrediti di Cannes, che solo per la stampa prevede cinque diverse categorie (bianco, rosa pastille, rosa, blu e giallo), agevola ovviamente situazioni simili, nelle quali le vittime sono regolarmente gli accrediti gialli – quelli di minor valore –, seguiti a ruota dai blu. Così, da navigati accreditati blu, quando abbiamo visto la fila mastodontica creatasi per il press screening di Maps to the Stars di David Cronenberg, la scelta immediata e senza ripensamenti è stata quella di desistere. Il film, dunque, lo recupereremo domani alla prima delle due proiezioni previste al Grand Theatre Lumiere, la sala principale della Croisette.
In attesa di scoprire cosa ci avrà riservato il regista di Videodrome, M. Butterfly e A History of Violence, concentriamo l’attenzione su ciò che si è visto in questa domenica festivaliera. La giornata è iniziata nel migliore dei modi, con The Homesman di Tommy Lee Jones, anche straordinario interprete (insieme a una splendida Hillary Swank) nonché regista del miracoloso Le tre sepolture: qui Jones porta in scena un western crepuscolare non privo di spunti ironici, ma surclassato da una vena di disillusione e sentimento di sconfitta che strappa via l’anima anche al più coriaceo degli spettatori. Un crescendo emotivo coinvolgente che deflagra in uno dei finali più dimessi e memorabili degli ultimi anni, per un western che punta a dire la sua fino all’ultimo per la conquista della Palma d’Oro.
In tarda mattinata, invece, alla Salle Debussy è stato presentato, in Un certain regard, Turist di Ruben Östlund: può una slavina mancata distruggere la vita di una famiglia? Questo, a conti fatti, l’assunto di partenza del curioso film del quarantenne cineasta svedese, girato sulle Alpi francesi e in grado di alternare paesaggi mozzafiato a rigorosi ritratti familiari in interno: divertente e straniante, Turist conferma la vitalità delle cinematografie scandinave, pur senza strabiliare.
A far questo (strabiliare, per l’appunto) ci pensa per fortuna Lisandro Alonso, che con Jauja firma l’ennesimo film indispensabile della sua carriera: un’opera magmatica, intensa, creatura inafferrabile che riscrive il senso dello spazio e del tempo, vivendo in una dimensione ultraterrena, in cui ectoplasmi di Jodorowsky fanno capolino e l’eccezionale Viggo Mortensen – autore anche della folle colonna sonora – si aggira alla ricerca impossibile della figlia, sperduta nella brulla pianura patagonica. Un’opera immensa, di fronte alla quale inchinarsi ripetutamente e che, ça va sans dire, sarà compresa e amata solo da un piccolissima percentuale di persone. Ma così va il mondo. Chiudiamo questo appuntamento quotidiano raccontando uno smacco: avevamo gli inviti per l’attesa festa della Troma, la geniale casa di produzione horror-trash statunitense, ma in realtà si trattava di un appuntamento in un bar, dove non era neanche prevista una consumazione. Anche nell’impero del glamour chic possono capitare di queste cose. Per (s)fortuna!
(Raffaele Meale)
19 maggio 2014
Film cast – Red carpet – Jauja © AFP / A. Pizzoli