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E poi, quando oramai ti sei messo l’anima in pace, e credi di essere al sicuro da qualsiasi brutta sorpresa, ecco lì che arriva la pioggia… A dire il vero non è che la bufera si sia davvero abbattuta su Cannes, ma l’impressione – dettata da una certa conoscenza dei temporali sulla Croisette – è che tra domani e dopodomani uno scrollone di quelli sostanziosi e cattivi sia pressoché inevitabile. La speranza è che la pioggia non ci colga nel bel mezzo delle file a cielo aperto, come invece accadde l’anno scorso all’anteprima stampa di Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen.
Disquisizioni sul tempo a parte, probabilmente avrete letto di tutto e di più su Foxcatcher di Bennett Miller, presentato la scorsa mattina in concorso: buon per voi, perché non possiamo aggiungere un granché, avendo preferito un paio di ore di sonno in più al buio della sala. Ci cospargiamo il capo di cenere e andiamo avanti… Avanti significa per fortuna Maps to the Stars di David Cronenberg che, come già ampiamente annunciato nel diario di ieri abbiamo avuto modo di recuperare alla proiezione di mezzogiorno al Grand Theatre Lumiere. Maps to the Stars svolge il gradito compito di pacificatore, ricucendo il rapporto tra chi scrive e il grande regista canadese – ma da anni di stanza a Hollywood – che si era incrinato dopo la visione di A Dangeros Method e Cosmopolis: qui il cinema di Cronenberg torna a volare altissimo, legando la critica alla vacuità del mondo dello spettacolo con alcune tematiche da sempre presenti nella sua poetica, come la deformazione fisica, il senso di colpa, l’inadattabilità dei protagonisti con l’universo che li circonda. A guidare un cast eccellente è Mia Wasikowska, il cui bagaglio attoriale si fa sempre più completo e maturo, ma appare difficile non citare John Cusack o Julianne Moore. Fantasmi di un mondo in cui si è perso il senso dell’immateriale.
Il concorso, che sta salendo di livello giorno dopo giorno, ha poi sfoderato un altro pezzo da novanta, Still the Water di Naomi Kawase. La Kawase, che tornava a Cannes a tre anni di distanza dal precedente film, Hanezu, firma un coming-of-age fiammeggiante, lirico, doloroso ma anche gravido di un sincero e profondo amore per la vita: immerso in inquadrature di somma bellezza e in una natura quasi selvaggia (quella dell’isola Amami Ōshima, parte dell’arcipelago delle Ryūkyū, all’estremità meridionale del Giappone), Still the Water cresce in maniera continua come le onde di un mare che prepara l’arrivo di un tifone. La Kawase firma con ogni probabilità l’opera della maturità, riproponendo temi a lei cari (l’adolescenza, lo studio antropologico delle radici culturali del Giappone, il rapporto madre/figlio, l’elaborazione del lutto e del senso della morte) e unendoli in un percorso umano sublime. A tutt’oggi, vista anche la composizione della giuria, è il più serio candidato alla vittoria della Palma d’Oro.
Chi invece non vincerà nulla, a scanso di miracoli o di scelte scellerate, è When Animals Dream, esordio alla regia del quarantenne danese Jonas Alexander Arnby, horror licantropico praticamente nullo dal punto di vista della scrittura e piuttosto arrancante anche sotto il profilo della messa in scena inopinatamente inserito in concorso alla Semaine de la critique. Un’opera priva di senso, che riesce però a strappare qualche risata involontaria. Ed è già qualcosa…
(Raffaele Meale)
20 maggio 2014
Channing Tatum – Photocall – Foxcatcher © AFP / B. Langlois