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Se qualcuno mi chiedesse chi era Roberto “Freak” Antoni gli risponderei senza esitazione: uno che frequentava biblioteche e librerie.
Da qualche tempo si era trasferito a San Giovanni in Persiceto, dove abitano i suoi genitori. E dove io faccio – o meglio provo a fare – il bibliotecario. Un giorno sento la porta d’ingresso che cigola, alzo lo sguardo distrattamente e lo vedo entrare. Ora, io e Freak ci saremo incrociati sì e no quattro o cinque volte – due o tre volte l’ho aiutato per ricerche bibliografiche – e ci sono in giro decine o centinaia di persone che lo hanno conosciuto molto meglio, per cui vi chiederete “e allora perché scrive?”… scrivo per lo sguardo di Roberto.
Fate caso allo sguardo di Freak nella splendida foto di Gabriele Spadini qui su Kalporz: fa a spintoni con l’immagine del rocker punk. Non so, forse quando era più giovane e più in salute era un po’ diverso, ma i tre aggettivi che mi vengono in mente subito quando penso a lui sono “distratto”, “mansueto”, “malinconico”. Qualcuno si chiederà se sto parlando proprio del Freak Antoni degli Skiantos… direi di sì – e del resto la stessa figlia Margherita lo ha definito “un uomo triste” – ma lo confesso: il punk demenziale non è mai stato il mio genere preferito, e non sono nemmeno di quelli che magari adesso che Freak non c’è più si svegliano e scoprono che sono esistiti gli Skiantos, sparandosi a stereo l’opera omnia.
Quindi probabilmente quella che ricordo io è solo una delle tante immagini di Roberto, ma tant’è: siamo tutti fatti di tessere come un mosaico. Insomma quando penso a lui come rocker mi viene da ridere… non per sminuirlo, ma perché per vizio di angolazione non posso che vederlo sullo sfondo di una biblioteca, o di una libreria. Un giorno ero in un grande supermercato a San Giovanni, giro l’angolo di una corsia – era quella dei libri – c’è un omino solitario che sfoglia un libro, è lui. Libri. Freak era uno che leggeva e sfogliava i libri, rigorosamente analogici per quel che ne so. Ve lo vedete un giullare caustico come lui, uscito fuori dal ’77 bolognese, con in mano un tablet o uno smartphone? Io no. E infatti mi sa che Freak con l’elettronica e le nuove tecnologie non ci andasse proprio a nozze, era ancora uno da carta. E la carta è ancora il materiale più rivoluzionario, detto per inciso. Ricordo la sua rubrica “Carta vetrata” sull’allora neonato settimanale “Musica” di Repubblica: in particolare una spieteta e geniale “scartavetrata” di Zucchero, patchwork di mode e stili diversi rimescolati e centrifugati. Aveva fatto centro.
“Script for a Jester’s Tear”: citare i Marillion come epigrafe al lavoro di Freak, buffone triste – come sono tutti i veri comici – è la cosa più demenziale e paradossale che mi possa venire in mente per rendergli omaggio.
(Federico Olmi)
12 maggio 2014