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Le cose semplici, genuine nella vita vengono spontanee, i Blueboy, duo pop britannico, nascono dall’amicizia fra Keith Girdler e Paul Stewart. A una festa di qualche amico comune, i due cominciano a parlare di dischi per ore ed ore. Scocca la scintilla magica: Girdler e Stewart condividono gli stessi gusti musicali.
Il primo album “If wishes were horses” è un disco d’esordio solido e maturo. Fare pop non è mai facile, in un batter d’occhio si scade nel banale, in ballate melense colonna sonora dei peggiori bar di Buenos Aires. Girdler, per sua stessa ammissione, si rifiuta di scrivere tediose canzoni di amore tra un ragazzo e una ragazza, preferisce l’ambiguità. Quella dose di ambiguità tipica della tradizione pop inglese, l’abilità nello smuovere e confondere le acque di Morrisseyana memoria. In scala minore Keith Girdler conferisce un velo di mistero e imprevidibilità ai testi.
Particolarmente studiata è invece la parte musicale: le strutture armoniche risultano curate nei minimi particolari, nella fase di scrittura e registrazione niente è lasciato al caso, ogni passaggio strumentale presenta una sua motivazione di fondo. I brani sono piccoli pezzetti di un puzzle immaginario: hanno una forma precisa e combaciano l’un con l’altro. Con accortezza i Blueboy cercano di ricomporre i tasselli mancanti e regalarci la gioia infantile di disfare e rifare il puzzle.
(Monica Mazzoli)
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giovedì 19 giugno 2014