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Su Wikipedia si legge che Chiaverano è un paesino di poco più di duemila abitanti incastrato tra le colline di Ivrea, famoso per i tomini, i cioccolatini alla grappa esportati anche in America, e il rosmarino così buono che col tempo è nata pure l’Associazione per il Rosmarino.
Nella realtà Chiaverano è un paesino di poco più di duemila abitanti incastrato tra le colline di Ivrea in cui evidentemente si mangia molto bene, ma fortunatamente ci succedono anche altre cose: tipo l’A Night Like This Festival. Per quanto ho visto, ascoltato e capito, l’A Night Like This Festival è per i chiaveranesi un’evento incredibile: chiude il paese circondato dalle transenne, arriva un sacco di gente da fuori che aumenta considerevolmente la densità di popolazione media per chilometro quadrato, nella piazza e nel prato del paese suonano dal pomeriggio alla sera tardissimo, i volontari dell’Associazione del Rosmarino gestiscono i parcheggi, il resto dei chiaveranesi entra curioso a guardare.
Arrivato alla terza edizione, è una cosa che è cresciuta molto rapidamente: basta confrontare le line up degli scorsi anni con quest’ultima per capire che chi ci lavora sta lavorando molto e lavorando bene. Oltre alla musica, che è tanta, anche un grande senso di ospitalità: non si sa come, o sarà per l’atmosfera tranquilla, ma ci si sente subito a proprio agio.
Sono arrivato che doveva ancora iniziare tutto, e quindi ho fatto in tempo ad ascoltare la maggior parte delle cose. Posto che era il primo festival con la scaletta incrociata a cui andavo, e posto anche che per un tipo pigro come me tre palchi e ventitré band sono una roba sì grossa ma anche faticosa da gestire, ho scelto di guardare i concerti nel massimo comfort, ed è per questo che vi racconterò quelli che ho visto da seduto, o da sdraiato sull’erba, o da stravaccato del tutto.
Gli Wemen sono stati i primi che ho visto da seduto: ai The Yellow Traffic Light e ai Nobody Cried For Dinosaurs ho prestato un po’ di attenzione, e a loro va di sicuro la mia approvazione, ma c’era molto caldo e io avevo bisogno di una birretta. I The Yellow Traffic Light però meritano comunque una segnalazione: giovani eh, ma cavoli che suono: uno shoegaze forte forte che mi ha convinto molto, birretta o no. Ma dicevamo dei Wemen, visti da seduto sull’erba: palco grande, alcuni (forse troppi) amici milanesi del frontman Carlo Pastore (noto anche per altre cose importanti dell’insieme indie-musicale italiano), ma i Wemen sanno il fatto loro e il loro repertorio di dichiarata ispirazione britannica è gradevole al punto giusto.
E poi uno dietro l’altro dopo di loro: i The Gluts, una delle sorprese del festival, col loro noise punk nerissimo; i Sorriso Tigre che mostrano i frutti della collaborazione con Cosmo dei Drink To Me mescolando synth ed elettronica nel modo giusto; gli His Clancyness, che devo aver visto per la trecentoquattordicesima volta ma andrei a rivederli anche la trecentoquindicesima visto che sono semplicemente bravissimi; i Soviet Soviet, che non vedevo l’ora di ascoltare dal vivo, e avevo ragione perché questi tre vanno forte sul serio; e prima dei tre headliner, i Niagara, un’altra delle cose belle che mi porto a casa, la dimostrazione che la droga nella musica non fa sempre male ma anzi.
Poi la tripletta Austra – Slow Magic – The Soft Moon.
Gli Austra sono quel classico gruppo che li ascolti su disco e pensi “ma figurati se dal vivo suonano così, figurati se ‘sta tizia ha questa voce per davvero”. E invece! La tizia si chiama Katie Stelmanis e canta davvero come la si sente su disco: una voce cristallina, purissima. Il resto del suono degli Austra, un pop elettronico di chiara vocazione dance, fa il resto del lavoro e la gente balla contenta.
E poi mammamia Slow Magic, questo mostro colorato che se l’avete ascoltato non potete non amare un casino. Il suo live è qualcosa di memorabile, un caleidoscopio di colori e suoni, tribali, elettronica, chill, insomma una roba bella bella bella.
A chiudere i live, i The Soft Moon, che avevo perso un anno fa in un altro posto per colpa della pioggia. Ci stavano benissimo alla fine, con il loro post punk oscuro e agitato a musicare la guazza che c’era nell’aria : un finale di festival davvero ben calcolato.
Non ce l’ho fatta a resistere per i dj set però. Questo si spiega riprendendo il racconto sulla mia innata pigrizia di cui scrivevo prima, e mi spiace per chi avrebbe gradito due parole anche su quelli. Ma io avevo una camera prenotata in un rifugio a una buona mezzoretta di strada e cominciavo a sentirmi vecchio. Tuttavia, vista la gente che c’era, il livello di presobenismo, la quantità di bicchieri di drink vuoti nei cestini del pattume, credo sia andato tutto bene anche lì.
Insomma che figata questo A Night Like This Festival. Prima di partire avevo la sensazione che sarebbe stato qualcosa di molto bellino, ma non mi aspettavo che fosse questa gran bella cosa. Non vedo l’ora di tornarci il prossimo anno! Perchè voi di Kalporz mi ci rimandate, vero?
PS: Di foto non ne ho fatte tante, anzi ci ho provato ma sono un fotografo molto scarso. Allora me ne sono fatta fare una, e visto che è l’unica decente la metto qui sotto: spiega benissimo il presobenismo che cercavo di spiegare io prima.
22 luglio 2014