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Il continuo divenire del rock è, per certi versi, una storia lineare. “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” e quelle robe lì. Come il percorso de La Sera: Katy Goodman era la bassista delle Vivian Girls, band al femminile di NY che dapprima ci ha convinto con il suo pop-noise tanto da dedicarci un Caspiterina! prima dell’uscita del disco di debutto, per poi deluderci nella data del 31.05.09 all’Hana-bi (con i Pains Of Being… di supporto!) ed ad arrivare a capire che, sì, avevamo preso un abbaglio (vedi rece di “Share Your Joy” nel 2011). Nel frattempo Katy Goodman aveva già iniziato a differenziare i rischi di uno scioglimento delle Vivian Girls, puntualmente avvenuto, e già nel 2011 aveva fatto uscire il suo primo disco di debutto, ispirandosi alle melodie anni ’60 e a Phil Spector.
Che sia un calcolo statistico o un’esigenza, La Sera rappresenta l’ennesimo capitolo del rocker che cerca la propria indipendenza artistica. Con i pro e i contro: maggiore libertà, possibilità di differenziare, ma meno coralità nelle idee e dunque minor novità. Nelle sfaccettature dei contributi di tutti i componenti di una band sta, molte volte, la genialità. E anche “Hour of the Dawn”, terzo album di La Sera, non fa eccezione: Katy continua a sbirciare di qua e di là, buttandosi nella wave più classica (“Control”) come in episodi più irruenti (“Losing To The Dark”, “Running Wild”) che stanno tra il periodo-Vivian Girls e una Mikal Cronin in versione femminile, mettendo la maggiore convinzione dove il rock va a non essere aggettivato (“All My Love Is For You”) e citando i “soliti” (per lei) ’60s (“Summer Of Love”).
Una logica di conservazione, dunque, di ripetizione non del tutto scolastica di certi stilemi che fanno sì che “Hour of the Dawn” sia, allo stesso tempo, un disco piacevole e forse non così necessario. Però predispone bene, mette di buon umore, per cui il voto arriva comunque al sette.
70/100
(Paolo Bardelli)
1 luglio 2014