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Estate. Anzi, Summer.
Quanti di noi hanno avuto come colonna sonora delle vacanze gli idoli del brit-pop?
Probabilmente in tanti, ma dei “soliti nomi”. Qui invece c’è una top-7 del brit-pop i cui criteri di scelta sono particolari: brani uptempo di artisti da classifica ma che non hanno mai raggiunto traguardi come il milione di copie vendute e la gloria eterna. Degli outsiders, insomma.
E che per questo, oggi ci piacciono ancora di più.
7. Echobelly, “I Can’t Imagine The World Without Me” (Rhythm King, Giugno 1994)
Al terzo singolo estratto da “Everyone’s Got One” la band di Sonya Madan – l’indianina del brit-pop – approdava finalmente a Top of the Pops. Blondie meets Blur, in una dichiarazione d’intenti fin dal titolo: siamo solo all’inizio.
6. Gene, “Haunted By You” (Polydor, Febbraio 1995)
Gli Smiths degli anni 90, a riprova la preziosa ugola di Martin Rossiter. Una carriera oscurata dalle stelle contemporanee eppure di tutto rispetto, grazie al supporto della stampa specializzata, in primis l’”ambasciatore” dell’NME Keith Cameron.
5. Lush, “Single Girl” (4AD, Gennaio 1996)
Nascere shoegaze e morire brit-pop. Questo il percorso della band di Emma Anderson che con il quarto e ultimo album “Lovelife” si elevava fino all’ottavo posto delle classifiche nazionali, complici successi quali “Ladykillers” e “500” con ospite Jarvis Cocker. Un successo sfociato in tragedia con il suicidio del batterista, poi lo scioglimento e fine dei sogni di gloria.
4. Super Furry Animals, “The Man Don’t Give A Fuck” (Creation, Dicembre 1996)
Ultima grande scoperta di Alan McGee, la band gallese è l’unico fenomeno a resistere a mode ed intemperie. Il singolo di raccordo tra primo e secondo album stabiliva al tempo dell’uscita il record di “fuck” in un singolo brano. Battuti dagli Insane Clown Posse, si sono riappropriati del primato con una versione live del 2004 che ne conta circa un centinaio. Con un piccolo furto agli Steely Dan.
3. Sleeper, “Delicious” (Arista/Indolent Records, Maggio 1994)
Prodotto da Ian Broudie (Echo & The Bunnymen, Lightning Seeds, The Coral) un pezzo del genere meritava senz’altro diversa sorte di un modesto no. 75 in classifica. Sarà perchè gli Sleeper hanno cercato ispirazione nell’indie americano a firma Pixies, più che in quello inglese. Chitarre aggressive e un killer refrain, tre minuti buoni da proporsi in ogni dancefloor che si rispetti. Louise Wener al massimo del suo splendore.
2. Boo Radleys, “It’s Lulu” (Creation, Agosto 1995)
Martin Carr da Liverpool, il camaleonte. Agli esordi copia carbone dei My Bloody Valentine, poi un singolo mordiefuggi (“Lazy Day”) che faceva il verso a “Velocity Girl” dei primi Scream, e ancora un album caleidoscopico con riferimenti sixties quale era “Giant Steps”. Infine gli Oasis nella stessa etichetta! La mente dei Boo Radleys non poteva esimersi dalla sfida. L’estate di “Wake Up Boo!” è già finita, mentre con “It’s Lulu” ed i suoi echi di northern soul siamo nel clou.
1. Dodgy, “Staying Out For The Summer” (A&M, 9 versioni edite in UK tra 1994 e 1997)
Il pezzo dei pezzi nella miriade degli Outsiders del Brit-pop. “Staying Out For The Summer” è universalmente riconosciuta, anche se non famosa come “Parklife”, “Don’t Look Back In Anger” o “Common People”; racchiude in sè tutte le influenze care al movimento, dal beat al rock’n’roll, esulando fino alla surf music americana. Non è stato neppure il più grande successo della band di stanza a Londra, perchè “Good Enough” del 1996 giunse al quarto posto. Pura follia, come il video a supporto.
Lunga vita (e memoria) agli Outsiders.
(Matteo Maioli)
3 Agosto 2014