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A quattro anni di distanza da “Penny Sparkle” tornano i Blonde Redhead, con la quarta uscita sotto etichetta 4AD, la nona in quasi vent’anni di carriera. “Barragán” non si discosta dal feeling degli ultimi lavori, rimanendo in bilico tra pop barocco e vena sperimentale: qui, a giudizio del sottoscritto, le cose riescono solo a metà.
Premesso che almeno un classico c’è, e si chiama “No More Honey”, curiosa fusione (almeno nel titolo) tra “Just Like Honey” dei Jesus And Mary Chain e “No More Sorry” dei My Bloody Valentine. Brano possente, scuro e con un minuto finale che sembra rubato al disco di Ramona Lisa. Le sensazioni migliori risaltano dai due numeri acustici della prima parte del disco, ben arrangiati e ottimamente interpretati da Kazu Makino. Nella title-track mena le danze un flauto canterburyano sopra un arpeggio memore di Robert Fripp; “The One I Love” ha un gusto antico e immobile, rotto da un passaggio di cembalo e archi che – uniti ad inserti elettronici – ronzano come una tempesta in arrivo. “Penultimo” ne ruba parzialmente l’idea, con minor pathos, ma aggiungendo qualche dettaglio musicale in chiave new-wave inglese (Siouxsie And The Banshees, Stranglers).
“Dripping”, dei brani cantati da Amedeo Pace, si fa preferire a “Mind To Be Had”, un voodoo robotico che alla lunga dei suoi nove minuti finisce per annoiare; è la stessa pecca di quello che rimane di “Barragán”, da “Lady M” fino a “Defeatist Anthem (Harry And I)”, suite di tre, anzi quattro, movimenti davvero grotteschi. “Seven Two” chiude questo “Barragán” nel segno dell’ordine e della delicatezza; volendo, è la traccia che sintetizza vizi e virtù del disco. Se fosse qualcosa di vivo, lo penserei come un gattone da salotto, ma al quale non manca l’istinto di sopravvivenza.
64/100
(Matteo Maioli)
24 settembre 2014