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Ci siamo sbagliati, anzi no. Avevamo incensato il singolo “Lux” e, all’ascolto completo dell’album di debutto della band berlinese della scuderia Bella Union, possiamo dire che il singolo è certamente il momento migliore del disco. Anzi, l’unico momento degno di assoluta nota. Dunque sì, la delusione è piuttosto cocente anche se da quel pezzo non si poteva capire.
Il problema dei Ballet School è che sono troppo palesi, sfacciatamente pop in una maniera del tutto smaccata e stucchevole, e “The Dew Lasts An Hour” non possiede quell’alone di mistero che invece era presente nel singolo. La voce di Rosie Blair gorgheggia in aria un po’ a vuoto, con impeccabile precisione ma senz’anima, come se fosse una Caroline Polachek senza fascino e una Laura Bettinson senza personalità. Ci sono troppi “senza”, nei Ballet School: “Pale Saint” ha un buon inizio senza una strofa all’altezza, “Ghost” si butta a capofitto in velocità in arpeggi ariosi senza scegliere se puntare sulla carica o sull’aspetto dreamy, “Heartbeat Overdrive” (l’episodio più riuscito dopo “Lux”) possiede un’ottima chitarra à la New Order ma non ha un ritornello degno di questo nome.
Limite ulteriore è che i suoni elettronici dei Ballet School paiono una semplice reprise degli ultimi trendy che rispolverano gli Eighties aggiornandoli solo un poco, e finiscono con l’uniformarsi alla scena newyorkese come degli scolaretti compiti e che mandano la lezioncina a memoria. Il che forse può andare bene a scuola, ma non se si fa musica. C’è sempre il prof. mica biondo che ti sgama che mica hai capito quello che hai studiato.
Ecco, noi non siamo dei prof. ma abbiamo compreso che è meglio che Ballet School vengano bocciati, ripetano l’anno e ci facciano un secondo disco più interiorizzato. Sempre che non mollino prima e non vadano a lavorare.
48/100
(Paolo Bardelli)