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Giuria addio. È questa la novità più rilevante della IX edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (dal 16 al 25 ottobre 2014) che, come hanno ripetuto e ripetuto gli amministratori capitolini intervenuti in conferenza stampa, vuole ritrovare la sua vocazione di “Festa” popolare del cinema. Sarà quindi il pubblico che interverrà alla manifestazione, la terza e probabilmente ultima orchestrata dal direttore artistico Marco Müller, a giudicare i migliori titoli delle cinque sezioni. A partire, ovviamente, da quella principale chiamata “Cinema d’oggi”. Voce alla gente, insomma. Dopo che negli ultimi due anni la giuria capitanata da James Gray aveva premiato Tir di Alberto Fasulo (2013) e quella guidata da Jeff Nichols Marfa Girl di Larry Clark (2012). Si spera, probabilmente, che la restituzione “simbolica” della kermesse ai frutori finali aiuti in sala i film premiati e caratterizzi una volta per tutte un appuntamento ancora spurio per identità. E che giace, per calendario, tra il Festival di Venezia e quello di Torino. Da quando è nato, infatti, questo Giano bifronte si dibatte tra le due “vocazioni” di Festival e di Festa (tanto da aver già anche cambiato nome, nel corso della sua non lunga vita). Ma se non si è mai imposto realmente come evento cittadino (e la location predominante delle proiezioni, ovvero il decentrato Auditorium, non aiuta), non ha neppure mai trovato un’identità artistica nettamente distinta rispetto ai suoi più storici concorrenti.
L’ottimo Müller è poi in scadenza di contratto e la linea del futuro un’incognita. Difficile prevedere cosa accadrà e se la mano politica – che ha creato dal nulla la rassegna romana – avrà la meglio su domande inevase. Quest’anno poi la crisi della Mostra veneziana ha spinto più di un operatore a interrogarsi, ancora una volta, sulla necessità e la sostenibilità di due manifestazioni internazionali ravvicinate, soprattutto in un Paese in cui la grande recessione non invoglia gli spettatori a partecipare. Nell’attesa che i nodi si dipanino e che, dopo quasi due lustri, il Festival di Roma decida pienamente cosa vuol essere, Müller ha intanto, ancora una volta, lavorato sull’eclettismo e la diversificazione del prodotto. L’uomo che ha portato Checco Zalone sul red carpet (lo scorso anno dopo il successo di Sole a catinelle il comico pugliese tenne un incontro all’Auditorium) per il 2014 propone in apertura e chiusura due titoli che solleticano il botteghino: Soap opera di Alessandro Genovesi e Andiamo a quel paese di Ficara&Picone. La consapevolezza dell’importanza del mercato all’ex direttore di Venezia non è, giustamente, mai mancata. Così come non è mai mancata a Müller (e al suo staff) la capacità di accaparrarsi titoli clamorosi a detrimento di altre rassegne: ottenere il nuovo David Fincher, Gone girl (L’amore bugiardo) con Ben Affleck e Rosamund Pike, è un colpo messo a segno anche nei confronti della Laguna. Al di là della vocazione della rassegna capitolina, c’è dunque ormai sempre più pressante la questione di una gestione che garantisca continuità alle scelte (e, forse, anche una “dialettica” sistemica proprio con Venezia non sarebbe un’idea da buttar via).
La mole di rapporti internazionali costruiti nei decenni da Müller permette di fatto oggi a Roma di avere una rassegna di oltre 100 film che si muove su piani distinti e si rivolge tipologie di pubblico disparate. Al di là delle commedie che battezzeranno inizio e fine, troviamo nella sezione principale 3 italiani: Milionari di Alessandro Piva (Lacapagira), Biagio del più consolidato Pasquale Scimeca (il direttore artistico di Roma ha definito il suo film “rosselliniano”) e La foresta di ghiaccio di Claudio Noce (classe 1975) interpretato da Emir Kusturica. Titoli su cui si è deciso di puntare anche perché rappresentano modi differenti di un cinema italiano forse più silenzioso ma molto attivo e i cui autori incarnano, d’altro canto, tre generazioni e tre percorsi di autonomia e autorialità. In “Cinema d’oggi”, un titolo come Angely revolucii di Aleksej Fedorchenko fa ben intendere poi la volontà di Müller di “portare con sé” i registi che segue da anni (due lavori di Fedorchenko furono presentati a Venezia in edizioni dirette da Müller) senza rinunciare in alcun modo ad altri più consacrati, come il già citato Fincher e Soderbergh (di cui viene presentata la serie tv The Knick con Clive Owen), agli autori di culto come Takashi Miike (cui viene attribuito l’annuale premio alla carriera) o alle autrici di tendenza festivaliera come Mia Hansen-Løve (Eden). La rassegna infine pesca parecchio nella produzione di Centro e Sud America (6 dei film in Cinema d’oggi) e, come di consueto, in quella orientale. Cercando di realizzare quel che un festival dovrebbe fare, ovvero mostrare anche una geografia del cinema mondiale. A spulciare le 5 sezioni ci si rende conto che il lavoro svolto è appetibile per molti palati. Tra gli ospiti internazionali attesi ci sono Richard Gere che porta a Roma Time out of mind dell’israeliano Oren Moverman, Kevin Costner al festival con Black and white e per i cultori della pop-nostalgia Tony Hadley, il leader degli Spandau Ballet, che presenta il film sul suo gruppo. Tra gli eventi collaterali più interessanti vanno segnalate (tra le altre) le masterclass e gli incontri con Walter Salles assieme a Jia Zhangke, con Park Chan-Wook, con Joao Botelho e con di Tomas Milian (cui viene attribuito un altro premio alla carriera). Annunciata la presenza del grande Joe Dante che presenterà i film della retrospettiva “Danze macabre – il cinema gotico italiano”.
Il sito del festival di Roma è a questo link.
(Elisa Battistini)