Share This Article
Trovare le parole adatte per scrivere della musica dei The Growlers non è facile perchè si rischia sempre di finire a fare la figura dei cretini. Soprattutto se ci si mettono pure loro con quella convinta ostinazione nel definirsi una band “beach goth”, etichetta che a tutti gli effetti fa parecchio sorridere. Almeno finchè non ci si mette ad ascoltarli. Perchè se è vero che finchè se ne parla uno rischia di non filarseli troppo, è con i loro dischi nelle orecchie che si cambia parere a riguardo della band californiana.
Ritagliatisi solo poco tempo fa il meritato spazietto tra i discorsi degli scopritori di musiche nuove, in realtà i The Growlers sono in giro da almeno un lustro, quel tanto che basta per chiedersi se sia il caso di chiamarli ancora “emergenti”. Forse no, nonostante un’instancabile e mai doma produzione artistica, e infatti ci avevano provato l’anno scorso ad uscire fuori dal semi-anonimato confezionando quel dischetto grazioso che è stato “Hung At Heart”. E poco dopo, con l’ellepì “Not. Psych!”.
Anticipato una smania artistica non indifferente eccoci quindi ad accogliere “Chinese Fountain”, un album atteso con crescente impazienza tra i fan vecchi e nuovi. Saranno stati i brevissimi teaser pubblicati i giorni prima dell’uscita, o sarà che i dischi dei Growlers sono facili facili da consumare per le loro dosi di gusto dolceamaro, ma tant’è che c’era molta voglia di ascoltarli di nuovo.
E chi si aspettava l’ennesimo buon disco non rimarrà di certo deluso: al primo ascolto e anche a quelli successivi, le undici tracce di “Chinese Fountain” sembrano abbracciarci come fanno i vecchi amici, tante pacche sulla spalla e bentornati ragazzi. Quel modo di fare beach pop sbilenco, malinconico ed intristito non cambia, e anzi prova a darsi forme e spazi più precisi di prima: insomma, suona tutto un pochino meglio e ordinato. Pezzi come “Black Memories”, “Going Gets Though” e “Not The Men”, oltre che essere di una piacevolezza agrodolcissima, fanno anche capire a che punto di maturazione sono arrivati i ragazzi californiani, che si sono dati una pulita, tirati a lucido, e ora suona tutto più al proprio posto.
Potrebbe invece rimanere deluso chi invece si aspettava il disco che potesse consacrare definitivamente quel loro modo di suonare i Beach Boys urbiachi negli anni Dieci. Ma questa non è una brutta notizia, anzi: invece che rischiare di finire a suonare sempre la solita roba, cristallizzando quello stile li ha contraddistinti fino ad ora, sembra che i Growlers siano più interessati a provare cose nuove, un passettino alla volta. E dopo il graduale passaggio che dalle robe più psichedeliche degli esordi li ha portati al loro gradito “beach goth”, si mettono ora a fare nuovi esperimenti.
Ecco quindi spiegati i tastieroni anniottanta nella title-track “Chinese Fountain” o le stirate elettriche dentro “Good Advice”: robette che nell’economia sommatoria di questo disco non cambiano molto, ma fanno intendere che forse nelle prossime uscite le cose saranno via via diverse, di volta in volta più lontane dal suono che sentiamo ora. Forse, o forse no.
Infatti quello che ci auguriamo noi che ascoltiamo i The Growlers sempre molto volentieri, è che tutto questo divertito e istintivo vagare zingaro tra i generi e i suoni alla lunga non finisca per farli smarrire. Perchè nella vita e soprattutto nella vita di un musicista va bene cambiare, ma se questi ragazzotti ci sono piaciuti fin da subito un motivo ci sarà, no?
73/100
Enrico Stradi