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Spesso in Italia ci dimentichiamo di quanto sia bella la musica pop. Certo, ci sono un sacco di ragioni che spiegano questa involontaria repulsione, e di sicuro quella più valida è che il pop in Italia ha sempre fatto fatica ad assumere una certa nobiltà di genere, perché a parte qualche santone sulla via della pensione o altri tizi che se ne sono andati per sempre, vengono in mente soprattutto esempi mediocri. In questo senso, un bravo musicista che decide di fare pop in Italia è molto simile ad un giocatore d’azzardo, uno spericolato incosciente, uno che probabilmente non ci pensa troppo a prendersi tutti i rischi del caso: quello di non essere capito, quello di non essere abbastanza alla moda per quelli alla moda, quello di essere costretto a ridimensionare le proprie aspirazioni, quello di arrendersi e concedersi alle canzoni da radio. E anche se è vero che se si è bravi molto spesso poi le soddisfazioni arrivano, fare della musica pop italiana è comunque una bella scommessa.
Nell’insieme ristretto dei pazzi coraggiosi che provano a fare musica pop in Italia ci sono i Thegiornalisti. Li conosco dal loro primo disco, da quando consumai le orecchie con quel singolone sconsolato che è “Io non esisto”. Ho ascoltato anche il loro secondo disco, “Vecchio”, e anche lì trovai facilmente dei motivi per dire che per me era un buon lavoro. A convincere era questo loro modo genuino di suonare e di cantare, senza fronzoli e ostinatamente non alla moda, volutamente d’annata: le canzoni non complicate, i testi non incomprensibili, le storie che è facile sentire un po’ proprie.
Il terzo disco si chiama “Fuoricampo”, un titolo che suggerisce chiaramente quanto per la band romana questo sia in qualche modo un disco molto importante. È il loro disco forte. E di questo ce ne si accorge già al primo ascolto: limate le poche spigolature rock che esistevano nei primi lavori, in questo ultimo album i Thegiornalisti si giocano tutto, dedicandosi totalmente al pop. E per non sprofondare nelle sabbie mobili che una simile decisione può voler significare, fanno propria la lezione di chi il pop in Italia è riuscito sempre a suonarlo in maniera saggia e sapiente: in tutto il disco, per intensità diverse, si sente chiarissimo l’eco di Lucio Dalla. Nel modo di cantare, di dividere le sillabe delle parole, di stirare la voce, di far respirare le canzoni.
In alcuni momenti dell’album sembra davvero di ascoltare qualche strano pezzo inedito del cantautore bolognese, ma in realtà ci si accorge presto che quella di Dalla per i Thegiornalisti è una vera e propria anima ispiratrice più che una superficiale fonte di citazione musicale: nelle loro canzoni le storie che si ascoltano sono perfettamente attuali, terrene, in alcuni momenti anche carnali. Come quelle di Dalla, più di quelle di Dalla, che a volte si concedeva quei suoi svolazzi matti di surrealismo. Qui invece l’insonnia, le bollette del gas da pagare, Mario Balotelli, le tette e i culi, perfino Miyazaki diventano i protagonisti di racconti centrifugati di contemporaneità, uno spazio e un tempo che i Thegiornalisti vivono quotidianamente senza però riuscire a capire del tutto.
Ed è all’inizio di una delle tracce meglio riuscite del disco, “Mare Balotelli”, che i Thegiornalisti si chiedono proprio quale sia il loro spazietto di mondo: “Come si fa a vivere la modernità senza fare schifo?” cantano, e subito si capisce quanto sia complicato per loro stare in un posto così complicato. E così anche “Insonnia” e “Socializzare” raccontano di sfighe e disagi contemporanei, la salute che manca, le ansie, l’acquagym per dimagrire, fare cose/vedere gente. Ed è proprio da questo tedio quotidiano che i Thegiornalisti provano a scansarsi, suonando canzoni ariose, leggerissime, o a volte sgolate, che parlano di cieli e di nuvole (“L’importanza del cielo (Miyazaki)”), di sudore, di sesso e di estati caldissime (“Promiscuità”). E carissimi, se non vi piacciono ‘ste cose allora è un problema vostro.
74/100
Enrico Stradi
14 ottobre 2014