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Post-rock è nozione vaga e controversa.
Post-rock sono anzitutto Slint e Tortoise, per questioni cronologiche e artistiche, in quanto punti di riferimento di un’area ampia ed eterogenea: il territorio individuato da questi “estremi” presenta abissali differenze al suo interno. Un “tipo” più specifico di post-rock, e ormai è questa l’accezione in cui è maggiormente usato il termine, è quella rock-ambient di band come Labradford, GodSpeed You! Black Emperor ed Explosions In The Sky, geniali pionieri i primi, maestri del genere i secondi, ottimi discepoli i terzi. Brani lunghi, quasi interamente strumentali, costruiti su vasti crescendo, esplosioni sonore e chitarre, chitarre ovunque; brani poco pensati per l’ascolto puro e semplice, ma per una partecipazione emotiva, che tracciano linee di paesaggi e ricordano inquadrature panoramiche: la creazione di un ambiente, per l’appunto. Il post-rock in questa accezione ha come primo scopo la suggestione dell’ascoltatore.
Il grosso limite di questo linguaggio musicale è il ridottissimo spazio d’azione concesso alla creatività dei musicisti, la povertà stessa del linguaggio. Ma quella di fare ”post-rock” è una scelta, nessuno obbliga nessuno, e i “difetti” strutturali del genere sono difetti scelti. È infelice, a questo proposito, la scelta del titolo del nuovo album dei This Will Destroy You, “Another Language”, visto che la proverbiale solfa, per quanto piacevole, è sempre la stessa. Ha un bel dire il bassista e tastierista Donovan Jones “Fuck post-rock, and fuck being called post-rock”, quando ciò che fanno è esattamente questo. I texani, ormai alla terza fatica, hanno esaurito da un pezzo le possibilità di esplorazione “individuale” di questo genere e non aggiungono nulla che non sia già stato detto nell’EP d’esordio “Young Mountains” (2006, Magic Bullet) e nel successivo album eponimo (2008, Magic Bullet); o, volendo, negli ultimi vent’anni da una manciata di altre band (in particolare le tre citate sopra, e in particolare la terza, con la quale le somiglianze sono tanto strette da apparire equivoche).
Ovviamente i criteri da utilizzare per giudicare questo sub-genere vanno adeguati alla materia: definire “ripetitivi” certi brani sarebbe una critica poco sensata; ma sempre di musica si tratta, e al di là di tutte le raffinate ricerche estetiche possibili, che vadano a sondare emotività, panorami espressivi e quant’altro, ciò che di proprio mette in gioco il quartetto texano, che pure è gente che sa suonare, è ben poca roba. Brani gradevoli – in particolare “New Topia”, “Dustism” e “Invitation” – ma poco caratteristici, poco originali, poco autentici. Ammesso e non concesso che la musica non-elettronica non sia ancora morta, questo non è il modo migliore per tenerla in vita. Rinnovarsi!
https://www.youtube.com/watch?v=qGkHHPYwBAc
55/100
(Pietro Di Maggio)
21 ottobre 2014