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Sono davvero rimaste poche parole per definire uno dei personaggi più originali ed eclettici della scena contemporanea. Il cantautore e polistrumentista nato 36 anni fa a Los Angeles e e cresciuto tra i lustrini perbenisti di Beverly Hills, ha deciso di sbarazzarsi momentaneamente, a partire del nome, del bizzarro collettivo di eccentrici individui borderline riuniti sotto l’ombrello The Haunted Graffiti. E ha lanciato il suo primo LP solista a nome Ariel Pink accompagnando le settimane del lancio a improbabili rivelazioni su collaborazioni con Madonna e altre invettive su colleghi e compagni di etichetta, come Grimes.
In molti hanno temuto il peggio, altri hanno reagito con curiosità a questa svolta che sembrava preannunciata dall’eccezionale cover da maestro del soul di “Baby”, brano di Donnie & Joe Emerson e traccia di chiusura del caleidoscopio Sixties “Mature Themes”. E’ sempre esistita un’anima cantautorale molto sofisticata dietro a quell’aspetto dissacrante del satiro lo-fi di origine ebrea che due anni fa ha avuto il coraggio di chiamare un album “Ku Klux Glam” (insieme a R. Stevie Moore). A onor del vero il suo unico progetto a nome Ariel Pink era uscito nel 2006 (registrato nel 1998 in musicassetta) e raccoglieva un lato A e un lato B di deliri di onnipotenza sperimentali figli di Frank Zappa, tra chillwave prima della chillwave e psichedelia d’epoca più estrema. Sedici anni dopo era lecito aspettarsi di tutto e il contrario di tutto. Come sempre. Ariel Pink non è semplicemente travestimenti, provocazione ed esaltazione artistica del cattivo gusto e del kitsch. Il primo atteso singolo del nuovo “progetto solista” ha rimesso in luce la qualità del suo songwriting, con la tenue ballad strappamutande da band West Coast dei primi anni Sessanta. “Put Your Number In My Phone” è un rigurgito di Nick Drake abbagliato dai momenti più ottimisti dei Byrds. A smentire ogni presagio è arrivata “Black Ballerina” che rievoca i fantasmi glam eredi di Bowie e la passione per gli scenari goth anni Ottanta, così come “Picture Me Gone”, accompagnata da un video-denuncia della socialità 2.0 e tecnologica. Anche e soprattutto su queste sonorità, Ariel ha costruito le sue radici musicali da giovane, e ne ha trovato la quadratura del cerchio con tutti gli eccessi e i successi del caso nel disco della notorietà “Before Today”. “pom pom” è una raccolta di diciassette brani, in un’ora e venti di atmosfere altalenanti e demodé, in cui i momenti da improbabili Animal Collective glam a bassa fedeltà non mancano, come non mancavano in “Mature Themes”: “White Freckles”, “Four Shadow”, “Goth Bomb” che già basterebbe il titolo per dire tutta anche senza l’aiuto degli Haunted Graffiti. Ci si continua a perdere nel caotico mondo di Ariel Pink.
L’eredità dei momenti più non-sense e onanistici di Frank Zappa si sente sempre e comunque, nel parossismo industrial di “Not Enough Violence”, nella pacchiana fuga-prog “Negativ Ed”, nel blues da soundtrack di serie anni Ottanta “Sexual Athletics” e più semplicemente nel mood. Si viaggia senza soluzione di continuità tra svarioni ruffiani 60’s al gusto di twist, surf e anfetamine (l’opening track “Plastic Raincoats In The Big Parade” scritta dallo storico producer di The Runaways Kim Fowley e “Nude Beach A Go-Go”) a impareggiabili momenti di coinvolgente nonsense. “Dinosaur Carebears” parte con dei synth mediorientali, si trasfigura in un incubo gothic e infine sfocia in un eccentrico dub da lounge-bar caraibico. Senza traiettorie, Ariel dà sempre il meglio nei momenti più vicini alla convenzionale forma canzone: “Lipstick” e “One Summer Night” sono registrate con dei suoni patinati anni Ottanta, ma hanno delle melodie che renderebbero anche con un accompagnamento più minimale. Poi ascolti, se ci arrivi, la ballad di chiusura “Dayzed Inn Daydreams” e ti rendi conto che in fondo il pop psichedelico non è mai morto e più che un erede, Ariel ne è semplicemente un esponente come tanti altri. Senza quei frullatori ubriacanti di synth, campioni e digressioni ai limiti del grottesco, non sarebbe Ariel Pink. Senza il rischio di stordimento e mal di testa dopo un ascolto in cuffia, non sarebbe Ariel Pink.
“pom pom” anche senza The Haunted Graffiti è un altro coraggiosissimo capolavoro di uno degli ultimi artisti realmente fuori dal tempo da quella West Coast da cui Ariel Pink continua a raccogliere e rielaborare tradizioni, sensazioni e contraddizioni con un gusto unico e inimitabile.
84/100
(Piero Merola)