Share This Article
Album numero tre per i Tomorrows Tulips, giovani e baldi californiani – Alex Knost alla chitarra e voce, Ford Archbold al basso e voce e Jamie Dutcher, batteria e produzione – che hanno trovato la ricetta per un buon disco rock negli anni dieci e ce la svelano con questo riuscitissimo “When”. Eccola qua, attenzione.
Prendete il suono dell’underground newyorkese tra anni sessanta e settanta; unitelo ad un pizzico (ma poco poco) di slow-core uscito tra Kentucky e Minnesota; infine mescolate il tutto con una fiera attitudine grunge, capellona e sfattona direttamente dallo stato di Washington. Sull’onda lunga del 2013. E last but not least, registratelo in bassa fedeltà, magari in una living room di San Francisco.
Pazienza se a vedervi ci saranno in pochi, pochissimi.
Io c’ero, in un freddo lunedì in centro a Cesena; altri appassionati erano a Ravenna la sera prima, magari seduti per terra come me a poche decine di centimetri dalla pedaliera di Alex. A ben pensarci però, cosa vi farebbe più piacere? Essere manovrati da chissà chi, con doveri superiori ai piaceri, o suonare la vostra musica a gente che sa apprezzarla e vive esattamente come voi? Ridere, fumare, (complimentarsi) e scambiarsi due chiacchiere tra generazioni identiche seppur divise da un oceano, e il resto: qualcosa che non ha prezzo. Non ci siamo mai sentiti tanto lontani quanto vicini a questi ragazzi, ed è una sensazione unica, che non vorremmo mai smettere di vivere.
“Baby” apre i giochi e passa come un fulmine carico di feedback a ciel sereno. “Laying In The sun” ci mostra due cose straordinarie: un assolo di basso e, quando il pezzo si trasforma che quasi sembra di ascoltare “Unplugged In New York”, uno di violino. La firma qua è di Paz Lechantin, ora membro stabile nei Pixies, presente anche in altri tre brani tra i quali l’ultimo, “Clear”, un viaggio acido tra deserto dell’Arizona ed una Woodstock rimasta ormai immaginaria. “Down Tuned Self Pity” è un indolente numero acustico (“You don’t understand how hard it is to be a broken man”); “Glued To You” un blues rumoroso ed inquietante scritto da Ford, come lo è “Plan It Peace”, un brano semplice ma estremamente efficace alla maniera dei Jesus and Mary Chain dei primi anni.
I pezzi o per meglio dire le “schegge”, perché si parla di droghe, cuori spezzati, lontananza e noia, sono dodici e tutte meritevoli di un approfondimento. Per citarne un paio ancora, “Favorite Episode” in cui la tensione è quella dei Flipper, forse il gruppo a cui più si possono avvicinare i Tomorrows Tulips; la title track, infine, che riesce a conquistare dal primo ascolto (“To say i love you, or at least i’d like to”) grazie alla miglior prova strumentale del gruppo, assolo di Knost in primis. Cos’altro aggiungere? Comprate questo album, e se vi capita a zonzo per il mondo di vedere il loro nome nella programmazione di chissà quale sconosciuto bar di provincia, entrate, fate il pieno di birra o whiskey, e magari chiudete gli occhi. Indie-Rock Is Here (To Stay).
78/100
(Matteo Maioli)
4 novembre 2014