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Terzo album per gli Allo Darlin’, la rivelazione indie-pop made in Britain degli anni dieci, grazie soprattutto all’ottimo riscontro di “Europe” (2012). Una band che, visto il ritmo delle uscite discografiche ed il successo dell’attività live (con i concerti traferitisi pure in suolo americano negli ultimi mesi), possono aspirare di diritto al trono rimasto vacante dopo lo scioglimento dei Delgados. Nonostante questo “We Come From The Same Place”, dal tono molto introspettivo, risulti avaro dei picchi di eccellenza dei suoi predecessori: il classico disco di transizione.
L’abbrivio in realtà è promettente. Ci sono “King And Queens” ed una title track a mostrare la faccia migliore dei quattro londinesi; non tanti possono infatti vantare le melodie ficcanti prodotte da Paul Rains, che sembra essersi imparato i trucchetti di Johnny Marr a memoria, ed una splendida interprete quale è Elizabeth Morris. La crescita che ci aspettiamo dagli Allo Darlin’ riguarda piuttosto il songwriting, qui focalizzato sulle difficoltà nei rapporti sentimentali, come dimostra l’ambizioso verso “The Hardest Thing We Have To Learn Is When Those We Love Don’t Love Us In Return”. Per non finire ad essere il gruppo perfetto di college radio e nostalgici dei primi Belle And Sebastian.
Ma non c’è solo questo, per fortuna. “Bright Eyes”, primo singolo estratto, si fa strada in mezzo alla nebbiolina autunnale ed ha la verve da party song di “Capricornia”, o di “Dreaming” dal primo album, nel brillante duetto – sempre nazionalpopolare – tra uomo e donna. “History Lessons” è frizzante come certe cose dei Camera Obscura, mentre “Half Heart Necklace” è il pezzo diverso dell’album, con un sound grintoso a metà tra Vaselines e Parquet Courts, necessario a creare uno stacco dal clima bucolico che permea la gran parte delle altre canzoni.
La seconda parte tradisce un pò di superficialità, suonando in generale più stanca (“Santa Maria Novella”) ed in certi passaggi derivativa (“Romance and Adventure” prende le mosse da “Get Off” dei Dandy Warhols). “Another Year” è però un finale coi fiocchi (di neve finalmente?), nei suoi delicati intrecci di banjo e lap steel che conducono alle ultime parole della leader, “In Another Year We Won’t Be Alone”. Forse ci eravamo sbagliati qui sopra? O ci è mancata la pazienza necessaria nell’ascolto – se mai vivremo altre primavere (cit.)?
65/100
Matteo Maioli