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Può essere che qualcuno non se ne sia accorto o che non l’abbia ancora realizzato del tutto, ma siamo appena entrati nella seconda metà degli anni Dieci. Questo si traduce prima di tutto in una logica considerazione: dal 2010 sono passati cinque anni, una quantità di tempo che non è esorbitante ma già basta a sentirsi più vecchi o più grandi.
Per una band come i Siskiyou che torna con un nuovo disco dopo ben quattro anni dall’ultimo, il rischio di fare la figura degli invecchiati invece di quelli che sono finalmente cresciuti un volta per tutte c’è, ed è un rischio concreto. Soprattutto se l’ultimo ricordo che si ha è quello di un secondo disco totalmente sbagliato, che aveva provato a dimostrarsi più accessibile del primo ma che era finito subito e meritatamente nel dimenticatoio.
L’esordio omonimo datato 2010 di questi quattro ragazzi canadesi era infatti uno di quei dischi che passano in sordina senza ottenere il giusto riconoscimento. Un emozionante folk sgangherato, aspro e disordinato che si allontanava con forza e decisione dal manierismo di genere. Erano canzoni solo abbozzate che per buona parte del disco riuscivano a commuovere per la loro immediatezza espressiva, la loro sincerità, piccole colonne sonore per i mesi invernali. Il secondo disco uscito un anno dopo, “Keep Away The Dead” mandava inspiegabilmente a monte tutto questo, con quel suo tentativo di addolcirsi difficile da capire: alla fine ne risultò un album annacquato, a tratti quasi insulso.
Quattro anni di silenzio poi ci ponevano davanti al dubbio: i Siskiyou hanno davvero perso la strada da sotto i piedi, e il loro primo disco rimarrà un gioiellino isolato nella loro discografia, o possiamo aspettarci qualcosa che si riprenda tutto il tempo perso fino a qui?
Fortunatamente per voi, che siate fan della prima ora o che li diventiate adesso (perchè li diventerete, ci scommetto), la risposta giusta è la due: la band canadese è tornata a fare bei dischi.
Con “Nervous” infatti i Siskiyou sembrano aver imparato dagli errori precedenti, ma pur non abbandonando l’intento di dare più corpo al loro suono, questa volta non fallisce e ogni cosa sembra più riuscita di prima.
Rimane quella godibile attitudine schizofrenica nel costruire le canzoni, di incominciarle e lasciarle senza contorni: spesso infatti nel corso della loro durata, i pezzi cambiano direzione, grado di accelerazione, di dinamismo, di intensità catartica, di ricchezza compositiva. “Deserter”, il primo singolo in uscita, è il non casualmente l’esempio perfetto di come i Siskiyou abbiano deciso di rimettersi in carreggiata suonando però in quella maniera sbandata che li contraddistigueva: e contrariamente a quello che si potrebbe credere, l’ossimoro funziona e tutte le fasi all’interno del pezzo, qui come negli altri, coesistono perfettamente. Le atmosfere oscure e crepuscolari, i coretti di voci bianche, le chitarre acustiche suonate come una grattugia, il cantare cadenzato di Colin Huebert, pure il sax che entra all’improvviso.
La spontanea naturalezza del disco d’esordio sommata al tentativo (più riuscito ora che nel secondo disco) di arricchire il suono e di aprirlo ad altri orizzonti fanno di “Nervous” un disco che non ha contorni ben precisi, ma i cui orizzonti ci appaiono bellissimi. La chitarra languida di “Bank Accounts And Dollar Bills”, i tastieroni di “Wasted Genius”, i bassi corposi e ipnotici di “Violent Motion Pictures”, l’eco dei Cure in “Jesus In The 70’s” o quello molto più forte dei connazionali Arcade Fire (epoca “Funeral”) in “Oval Window” e “Imbecile Thoughts”: tutte queste cose insieme rendono questo disco un altro gioiellino che speriamo consenta ai canadesi di cominciare una volta per tutte a riscuotere le giuste soddisfazioni.
70/100
Enrico Stradi