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Zucchero.
Sebbene questo disco abbia visto la luce in una delle terre del country per antonomasia, Nashville (TN),all’orizzonte non si vedono steak-house o bettole su lunghissime statali tutte dritte. Più facile immaginarci al Madison Square Garden, dopo una puntata in pasticceria. Appunto, a presentare il primo lavoro di Natalie Prass e la sua voce delicata e cristallina.
La produzione è quella dei grandi show americani, arrangiamenti orchestrali, profusioni di archi e fiati, pianoforte a puntellare ritmi atti a mantenere il tempo di un pop iper-raffinato.
L’apertura, affidata al singolo “My baby don’t understand me”, che ha fatto capolino già alla fine del 2014, sembra dichiarare all’inizio intenti malinconici. Il senso generale, di mancanza, inteso sia come solitudine che come incomprensione: “how long is a long goodbye” ripetuto lievemente, in un crescendo di pathos, sax e pianoforte unisce l’anima nostra e quella dell’artista. Che pure se fondamentalmente sei un’anaffettiva, capisci che qualcosa in te ancora si muove.
Ma parlavamo di zucchero.
E infatti i brani successivi altro non fanno che confermare le ricche venature di soul bianco presenti nel disco. Amore declinato in ogni sua sfaccettatura e costrutti da musical cinematografico.
Giorni fa parlavo di innocenza con una persona a me cara asserendo che, secondo me, non è che scompare quando si diventa grandi, semplicemente comincia a giocare a nascondino: ecco, questo è uno degli esempi di innocenza inaspettata a cui facevo riferimento nel discorso. Innocenza e fresca ingenuità: se quest’album fosse stato cantato da – faccio un esempio – Rihanna, non si sarebbe avuto lo stesso effetto. Sexy, volendo, lo possono essere un po’ tutte, la dolcezza sensibile invece raramente scende dalle nuvole e non viene presa in giro. E un po’ di coraggio ci vuole (“Violently”).
Torna ogni tanto la malinconia, certo, fa parte dell’Amore e del suo farsi sempre stupidamente stupide domande. Alla fine, però, Natalie Prass o la odi o la ami. Ma se decidi di amarla, anche se personalmente sei cresciuta a Pink Floyd e Led Zeppelin, allora bisogna abbandonare filtri e pregiudizi, ed entrare nel sogno in cui Walt (Disney) incontra finalmente Judy (Garland) nel giardino del Paese delle Meraviglie, dove anche le rose hanno perso le spine e sono simpatiche (“It is you”).
Un sogno dove ha senso la parola “sempre”, che invece nella realtà non appartiene all’umano.
Se avete coraggio toglieteci anche questo, forza.
82/100
Elisabetta De Ruvo