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Nel 2009 un artista italiano che di nome fa Felice Limosani inaugurò a Torino la sua installazione “Liquid Story”, con la quale riusciva a modellare un liquido grazie alla forza di due magneti, uno opposto all’altro. E così il liquido prendeva vita, cambiandosi nelle forme, disegnando spigoli appuntiti o superfici lisce. Potete dare un’occhiata qui.
“Liquid Story” di Felice Limosani è il primo pensiero associativo che mi è venuto in mente mentre ascoltavo “Usually Nowhere”, il disco d’esordio di Yakamoto Kotzuga, giovane producer veneziano che nella vita di tutti i giorni si chiama Giacomo Mazzucato. Sotto vi spiego perchè.
“Usually Nowhere” esce per La Tempesta, a coronamento di due anni intensi per produzione e sperimentazione, durante i quali Yakamoto Kotzuga ha fatto uscire cose via via sempre più sorprendenti per visione artistica e capacità compositiva, soprattutto se misurati con la sue giovane età (stiamo parlando di un ventenne!). Da “Your Smell”, il primo pezzo, a “All These Things I Used To Have”, l’ultimo, e passando per due EP (“Rooms of emptiness” e “Lost Keys & Stolen Kisses”) il percorso del giovane ragazzo veneziano si è fatto sempre più ricco di sperimentazioni: suoni morbidi, chitarre languide, ma anche delay stiratissimi, vocals umanoidi, elettronica porosa. Insomma, fino ad ora gavetta breve ma intensa, quello che ci vuole per arrivare preparati all’appuntamento con il primo album. E dentro a “Usually Nowhere” le sorprese, ancora una volta, non mancano.
Il disco si apre con “The Duel”, che è la cosa più lontana possibile da quello che ci si sarebbe aspettato ascoltando la prima traccia dell’album d’esordio di Yakamoto Kotzuga: quel modo riuscito di miscelare sampler soul ed elettronica soffusa che aveva contraddistinto le cose precedenti sembra aver lasciato spazio a un suono molto più denso, pulsante, massiccio, che hanno molto a che fare con il post-rock, con l’ambient o con altre ibridazioni proprie del genere (vengono in mente, a tratti distinti, i Godspeed You! Black Emperor e Forest Swords, per intenderci).
Le tracce seguenti confermano le impressioni iniziali: ci si rende conto man mano che quello di Yakamoto Kotzuga è un disco nero, granitico ma anche fluido, appuntito ma anche morbido, ruvido ma anche liscio. Come il liquido vivo di Felice Limosani, è un disco il cui suono si dimostra capace di modellarsi in infinite forme, cangiante, che pulsa nelle sue diverse stratificazioni. In “The Awareness Of Being Temporary” si sente proprio l’acqua (simbolo di vita e cambiamento e blablabla che già sapete), sebbene campionata e agitata di loop compulsivi.
Al centro del disco, “Hermit” riprende l’attitudine elettronica originaria che sembrava aver perso centralità nel suono: la prima parte è affidata a delle chitarre stirate all’inverosimile, un tecnica ormai familiare per il producer e che ha il compito di preparare il finale a sorpresa con glitch rotondi e atmosfere calde. Il resto delle tracce che concludono il disco ci fanno capire che “Hermit” è in realtà un’introduzione: da qui in poi, i giochini elettronici continuano fino al pezzo conclusivo, “The Triumph”, in cui ritornano però le chitarre puntute, le distorsioni e il rumore bianco a sporcare il suono, quasi a dire che la direzione da prendere da qui in avanti è questa, come poi del resto lasciava immaginare la prima parte del disco.
“Usually Nowhere” è quindi un album che ci sorprende. Vero è che le pulsioni ambient e post-rock esistevano già, latenti, nelle precedenti produzioni del producer veneziano, ma non era facile prevedere un lavoro così massiccio, profondo e stratificato. E ambizioso.
74/100
Enrico Stradi