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Avete ascoltato l’ultimo disco dei Godspeed You! Black Emperor e tra le prime impressioni che avete avuto c’è stata quella, ancora più intensa che nei dischi precedenti, che i suoni provenissero da luoghi lontani: i deserti, le montagne, l’oceano, i ghiacci dei poli. Avete ragione.
“Asunder, Sweet And Other Distress” infatti non è materiale inedito, ma è una rielaborazione più ricca, estesa e approfondita di una stesura che la band canadese già da tempo esegue durante i suoi live. Fino ad ora la si è chiamata “Behemoth”, ed è stata eseguita in quasi tre anni almeno un centinaio di volte in altrettanti posti sparsi per il mondo. Ed è proprio da questo collaudo esteso nei tempi e negli spazi che ha assunto forme diverse, fino a diventare quello che si ascolta ora.
Dal punto di vista musicale quindi, “Asunder, Sweet And Other Distress” non è nè un prodotto recente, nè un prodotto pensato (almeno originariamente) per diventare un disco, nè un passo evolutivo determinante per quanto riguarda la band di Mike Moya e soci, ma è proprio qui che sta il motivo della sua importanza, e grandezza: “Asunder…” è nato da una fagocitosi di suoni e di tempo trascorso, e in una maniera più riuscita che in passato al suo interno tutto questo viene ruminato, destrutturato, digerito e ricomposto in forme potenziate rispetto agli elementi di partenza.
Il continuum sonoro si apre con “Peasantry Or ‘Light! Inside Of Light!’”, una marcia di classica matrice post-rock che giunge al culmine quando si ripiega in ondulanti riff dal sapore desertico, arabeggiante. Il pezzo è costruito dalla successione di due fasi, nelle quali le distorsioni appuntite delle chitarre e la batteria claudicante preparano gli arabeschi di un finale catartico, liberatorio, memorabile. Da qui in poi, durante l’ascolto del disco, sarà difficile dimenticare di questi sei grandiosi minuti di coda: “Peasantry …” cambia letteralmente la percezione intera dell’opera.
“Lamb’s Breath” raccoglie la discesa da quelle altissime alture e fa sprofondare il suono negli abissi più neri, dove si fondono loop disturbati, ambient scurissimo e droni alieni. Quello che si ascolta qui è quello che si potrebbe ascoltare in fondo all’oceano tra bestie ancora sconosciute o nello spazio sconfinato, su qualche pianeta lontano anni luce da noi. E’ sparito il post-rock, sono sparite le chitarre, sono sparite le progressioni, i suoni terreni: “Lamb’s Breath” è sorda, post-tutto, marziana.
Da quel nulla nero, il disco riprende vita con la terza traccia “Asunder, Sweet”, che con archi, distorsioni e loop ipnotici si fa brodo primordiale da cui poi prenderà forma, sostanza e vigore il mastodontico pezzo conclusivo, “Piss Crowns Are Trebled”, a cui non si chiede nient’altro che una cosa: farci fuori tutti. E non rimaniamo delusi. Sedici minuti di musica che giungono alla sublimazione del loro peculiare post-rock, con le chitarre che sparano e lacerano e spezzano i timpani, i violini che sezionano i muscoli, e a noi ritornano in mente i pugni, le nocche nodose, i cieli e le antenne che anni fa ci conquistarono da lì in poi per sempre.
Quantificare un voto per “Asunder, Sweet And Other Distress” è in definitiva un compito sicuramente non semplice: i Godspeed You! Black Emperor hanno forse confezionato il loro disco definitivo, il che non significa il loro “migliore”. Pressochè nulla di nuovo dal punto di vista evoluzionistico, quasi nessuna sorpresa sulla sperimentazione, ma di certo un livello altissimo per quello che è la realizzazione di musica a cui ci hanno abituati.
Finezze linguistiche a parte, con questa opera di quaranta minuti e ventinove secondi la band canadese sembra aver raggiunto il suo massimo per perfezionismo compositivo: meglio di così, fatta eccezione per il senso di meraviglia non misurabile che accompagnò “Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven”, c’è solo l’Assoluto.
90/100
Enrico Stradi