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Prime avvisaglie di pioggia sulla Croisette, ma nulla che impedisca agli abitanti di fare lo struscio, avanti e indietro, inguainati negli abiti più improponibili, e al popolo degli accreditati di continuare il proprio tran tran quotidiano come se nulla fosse successo. Diventare estranei alle mutazioni meteorologiche è una delle prime sfide che un addetto ai lavori (come si suole chiamarli) deve vincere se non vuole essere schiacciato dalla mole di un festival come Cannes, che definire gargantuesco equivale a sminuire.
Com’è come non è, la pioggia è passata in second’ordine di fronte a una giornata nella quale è successo di tutto e di più, dopo un primo giorno in sordina.
La mattina gli accreditati si sono divisi tra chi ha scelto il tonitruante incedere della macchina mainstream condotta da George Miller sul viale di Mad Max: Fury Road (uscito anche nelle nostre sale proprio ieri), e chi ha preferito concentrarsi sull’apertura della Quinzaine des réalisateurs, affidata a Philippe Garrel e al suo nuovo film L’Ombre des femmes. Visto che ho puntato su questa seconda opzione, non potrò entrare nei dettagli di Mad Max, del quale riporto solo il testosteronico entusiasmo della maggior parte di coloro che l’hanno visto, uscendo dalla sala pronti a dichiarare guerra al primo malcapitato che avessero trovato sottomano. Sarà mio preciso impegno recuperare il film appena tornato a Roma… Non uscirà invece presumibilmente mai L’Ombre des femmes, ennesimo gioiello partorito dalla mente di Garrel, che non tradisce mai la propria idea di cinema ma anzi la vivifica, la corrobora, la rinforza di volta in volta. Non c’è nulla di nuovo, ne L’Ombre des femmes, eppure tutto sembra così puro e inattaccabile da lasciare senza fiato. Un Garrel più ironico e meno tendente al tragico, che resiste alle lusinghe del moderno preferendo ancora il 35 millimetri e il bianco e nero, e del quale è stato proiettato anche il cortometraggio Actua 1, girato a venti anni nel 1968 e ritenuto perduto: un viaggio nella contestazione parigina di una maturità espressiva e ideologica ammirevole.
È stata poi la volta di due film di “Un certain regard”, la seconda sezione ufficiale competitiva dopo il concorso. Sia la giapponese Naomi Kawase che il rumeno Radu Muntean sono figure ricorrenti sulla Croisette. La Kawase ha portato quest’anno An, storia minimale, tra il tenero e il patetico, di una anziana donna affetta da lebbra che vuole coronare il suo sogno di lavorare in un piccolo chiosco che vende dorayaki, il classico dolce giapponese di cui è ghiotto (tra gli altri) Doraemon: un’opera che calibra bene l’intensità dei toni, tra il ridondante e l’asciutto, ma che non convince fino in fondo. L’anno scorso, in concorso con lo splendido Still the Water, la Kawase aveva raggiunto uno dei suoi vertici espressivi. Lo stesso non si può dire del pur apprezzabile An.
Più solido, per quanto poco apprezzato dal pubblico a giudicare dallo scarso applauso che ha accompagnato i titoli di coda (e che è iniziato dal sottoscritto), Un etaj mai jos di Radu Muntean, tradotto letteralmente nel titolo internazionale con One Floor Below. Un noir dell’anima, in cui un borghese – piccolo piccolo – si trova a doversi confrontare con la propria coscienza dopo aver scelto di non testimoniare tutta la verità riguardo un diverbio tra condomini finito in tragedia e a cui ha involontariamente assistito. Il percorso emotivo del protagonista diventa uno sguardo sul rimosso di una nazione, uscita dall’epoca della Securitate e di Ceaușescu senza aver fatto i conti con la propria storia. Un’opera essenziale, scarna, che non lascia alcun appiglio emotivo allo spettatore ma riesce a scavare in profondità, con coraggio e precisione. Ad avercene.
Oggi invece ci si prepara a un vero e proprio tour de force, a iniziare dal nuovo Woody Allen, Irrational Man, che verrà presentato fuori concorso. Vi saprò dire…
(Raffaele Meale)
15 maggio