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Il popolo degli accreditati era a dormire con la delusione nel cuore. Il fallimento di The Sea of Trees, il nuovo film di Gus Van Sant su cui mi sono già dilungato, è inspiegabile oltre che profondamente doloroso. Per questo motivo mi sono avvicinato, ieri sera, alla Salle Bazin con un animo diviso tra speranza e paura: la proiezione di Carol di Todd Haynes, secondo film statunitense presentato in concorso, assumeva una luce completamente diversa dopo la debacle di Van Sant.
Preoccupazione fugata fin dalla prima, illuminante inquadratura: la macchina da presa staziona su quello che sembra essere un elegante cancello, e si dimostra in realtà solo la grata di una fogna di New York, a pochi metri da una strada centrale e trafficata. Quella che tutti considerano la lordura della società potrebbe apparire meravigliosa, elegante, nobile, se solo la si osservasse da un’altra prospettiva. Todd Haynes, nel raccontare la conoscenza, la passione e l’amore tra due donne (l’alto borghese e sposata Cate Blanchett e la giovane e proletaria Rooney Mara) nella Grande Mela degli anni Cinquanta, narra le “gesta” di una nazione nascosta, costretta a vivere dietro le imposte, oppure esposta al pubblico ludibrio. Haynes pone gli splendidi primi piani della Blanchett e della Mara dietro vetri opachi, sui quali picchietta la pioggia, firmando un melò trattenuto e di straordinaria eleganza, che si muove lontano dalla calligrafia del pur eccellente Far from Heaven. Regalando, per di più, una sequenza finale destinata a imprimersi nella memoria cinefila.
Carol ha chiuso una giornata pressoché perfetta, ma che si era aperta (ahinoi) con una visione a dir poco irritante: A Perfect Day dello spagnolo Fernando León de Aranoa – i più attenti lo ricorderanno per I lunedì al sole – è una “war dramedy” (sic!) ambientata nei Balcani che cerca solo ed esclusivamente il dialogo brillante tra i vari protagonisti. Il cast internazionale (composto da Benicio Del Toro, Tim Robbins, Olga Kurylenko, Mélanie Thierry e Fedja Stukan) si diverte, e dimostra anche di essere in forma, ma a mancare è completamente lo sguardo del regista e il perché del suo essere al mondo cinematografico. Paccottiglia per salotti radical-chic che vogliono evadere dal griogiore del quotidiano lavandosi però la coscienza, A Perfect Day è finora la peggiore esperienza spettatoriale di questa edizione di Cannes.
La Quinzaine des réalisateurs (dove il film di de Aranoa era programmato) si riscatta con due film che, al contrario, rappresentano alcune tra le eccellenze del festival: Trois souvenirs de ma jeunesse torna a mostrare il volto migliore di Arnaud Desplechin, dopo il passo indietro della trasferta americana con Jimmy P. due anni fa. Attraverso lo sguardo melanconico di Mathieu Amalric, che è il suo attore feticcio, Desplechin si lancia in un percorso a ritroso nella memoria, negli anni Ottanta francesi (tra Rubaix e Parigi), mescolando intreccio sentimentale e squarci di crisi familiari in atto, con una passione e un furore registico che si muovono tra l’antropologico e l’umanista, senza soluzione di continuità. Una gemma pura, che irretisce lo sguardo.
Non dirò invece ancora molto su As mil e uma noites – Volume 1, o inquieto, primo volume della trilogia firmata da Miguel Gomes: in attesa che qui a Cannes arrivino le altre due parti (domani e mercoledì) posso solo affermare che si tratta di una delle visioni più sconvolgenti, dall’impatto potente e devastante e dall’ironia sardonica, crudele e dissacrante. Tutto secondo pronostico, visto che si tratta di uno dei registi europei indispensabili dell’ultimo decennio, ma di questi tempi anche le conferme non possono essere date per scontato…
(Raffaele Meale)