Share This Article
Postepay Rock in Roma è andato in vacanza per qualche giorno ad Agosto.
Dopo più di un mese di concerti facciamo un piccolo riepilogo di quello che è stato finora.
L’offerta variegata ha messo a dura prova la scelta dei live da seguire, e quelli che vi proponiamo sono stati decisi molto spesso dalla curiosità, oltre ovviamente che dai gusti affini a quelli di coloro che leggono.
Di Alt-j vi abbiamo già raccontato. Era solo l’inizio.
Il 30 Giugno erano di scena i Mumford & Sons. Anche loro alle prese con un album “di svolta”, uscito a Marzo di quest’anno, “Wilder Mind”, dal suono decisamente più lontano dall’indie folk dei loro due precedenti lavori, hanno offerto uno show assolutamente coinvolgente. E anche questa volta il pubblico romano si è confermato preparatissimo sui brani e tanto innamorato. Incredibile l’aumento in percentuale di coppiette rispetto alle edizioni precedenti. Un band in gran forma, che passava con disinvoltura dalla strumentazione di dichiarata provenienza folk ai consueti strumenti elettrici, con Marcus Mumford divertito che scherzava con pubblico e fonici sul palco e Winston Marshall, la cui energia sembrava derivasse da un jack direttamente piantato nel sistema circolatorio. La band ha attinto da tutta la discografia ovviamente, ma la versione di “Timshel” accompagnata dall’unico suono di una chitarra acustica, ha messo davvero i brividi addosso.
Le luci sul palco del Postepay Rock in Roma si abbassano e l’immaginario musicale cambia ogni volta che si riaccendono. Così il 2 Luglio tutto era pronto per ospitare i Chemical Brothers. Ma non solo. La serata dell’inizio di questo afosissimo luglio è stata pensata come un mini festival di suoni elettronici. Si sono avvicendati sul palco, da metà pomeriggio, prima Joycut, appena entrato a far parte del roster Sugar, poi i Moods, vincitori del concorso Factory, organizzato l’anno scorso sempre nell’ambito della rassegna, e Flume, il cui set d’elettronica “morbida” è stato chiuso da “You & me”, remix dell’australiano per Disclosure. Da lacrime. Tutto questo a preparare il terreno per i Chemical Brothers. Con un album nuovo in uscita “Born in the Echoes”, ma col vestito da festival, lo show del duo inglese ha offerto un tuffo nel passato con schizofrenici passaggi nel presente (non tantissimi in realtà). Li avevo già visti loro, diversi anni fa, nel 2007 e l’esplosione sonora e visiva non ha perso un’unghia della sua potenza, anzi, come il vino invecchiato bene, hanno solo saputo aumentare le capacità di prenderti e spingerti in una dimensione che in pochi sanno definire. Come uno stato di alterazione che dalle orecchie passa direttamente a tutto il corpo, ipertrofizzandolo.
Ancora con il ricordo dei Chemical, martedì 7 Luglio ci siamo concessi un divertissment: Robbie Williams. Molti di voi storceranno il naso, credo, eppure non si può non ammettere il ruolo che, prima con i Take That poi da solista, ha avuto nell’evoluzione del pop mainsteam internazionale. Ora, il concerto è stato più uno one-man-show che altro, nonostante il nome del tour sia stato preso dal suo ultimo: “Let me entertain you”. Oltre a cantare praticamente tutti i suoi singoli number 1 nelle pop chart, Robbie, con totale autoreferenzialità si è comunque dato parecchio al pubblico. Ora dedicando “She’s the one” alla prima delle scalmanate che pressavano la passerella protesi del palco, ora invitando direttamente sul palco un’incredula fan in bikini per una scenetta simpaticamente a doppio e triplo senso, l’ex Take That ha arricchito lo show con cover di Queen, Oasis, Led Zeppelin, fino a chiudere tutto il concerto (negando il bis), con “My way” di Frank Sinatra. Sicuramente i Take That non sarei mai andata a vederli all’epoca, ero ormai troppo grande per quel genere di gruppi, anche se fossi stata “banalmente” orientata al mainstream, ma si può dire che il concerto di Robbie Williams è stato decisamente divertente.
A una settimana dalla totale leggerezza pop inglese, il 14 Luglio sono saliti sul palco del Postepay Rock in Roma i Verdena. E’ sempre un piacere immenso per me, ma bando alle ciance, oltre all’ormai supersuonato “Endkadenz vol.1”, hanno attinto molto di più dal loro repertorio rispetto alle prima date del tour per il nuovo album (dove pure Kalporz è stato presente). In molti avrebbero voluto una piccola anteprima di “Endkadenz vol.2”, in uscita il prossimo 28 Agosto, ma niente. Ancora pare non siano maturi i tempi per infrangere questo segreto.
Il 17 Luglio non c’erano date a Capannelle, ma già andava via via infoltendosi un gruppo di persone assiepate ai cancelli. Erano i primi fan dei Muse, arrivati un giorno prima del concerto, per sperare di raggiungere un posto “d’onore” sotto il palco del quartetto (dal vivo) inglese. Dal vivo non li avevo mai visti. E dentro di me avevo la consapevolezza che non sarebbe mai stato all’altezza dei miei desideri. Sì, perché io i Muse li amati tanto, o meglio, ho amato profondamente “Showbiz”, ho apprezzato “Origin of symmetry”, ho salvato alcuni pezzi di “Absolution”, ho provato a giustificarli per “Black holes and revelations”, poi per per me la storia è finita.
Ora, il concerto è andato sold out, nel giro di pochi giorni, una volta annunciata l’unica data italiana di quest’anno. Sold out a Postepay Rock in Roma, vuol dire quasi 40.000 persone. Memore di altri concerti così grossi nell’ambito della rassegna nelle scorse edizioni, ho adottato una tattica: arrivare tardi al concerto, col rischio di perdere anche uno o due brani e uscire dall’Ippodromo delle Capannelle tardissimo, tutto questo per evitare mandrie di fan e fiumi di macchine. Ha funzionato. Nel mezzo il loro concerto. Sono indiscutibilmente dei grandi musicisti, nel senso della perizia e di capacità tecniche, annoverando tra queste anche gli attacchi di priapismo chitarristico di Matthew Bellamy. Nel posto dove mi sono posizionata, dove riuscivo a vedere sì e no i maxischermi ma si sentiva molto bene, ho assistito al concerto di un gruppo letteralmente trasformato dal successo. E, a parte sporadici pezzi dell’ormai morto periodo del mio innamoramento, il concerto, a tratti mi ha imbarazzato un po’. Sottolineo per una questione di gusti, ma la commistione tra l’elettronica e un progressive abbastanza fine a se stesso hanno del tutto snaturato quello che potenzialmente si sentiva specialmente nei primi due album sopracitati, con una produzione che è andata via via imbarocchendosi sempre di più, con strutture per lo più sempre simili tra loro, dove “Drones”, ultimo lavoro dei Muse, tocca tocca il punto di involuzione più basso. Fortunatamente per loro invece, col successo sono arrivati i grandi numeri, tra questi numeri, il pubblico di Capannelle è trasversale; adolescenti, trentenni, famigliole con bimbi piccoli, famigliole con bimbi in pancia, coppie di qualsiasi tipo. A loro, il concerto, sembra davvero esser piaciuto moltissimo.
Il rientro di meno.
Una menzione particolare vorrei dedicarla al concerto del 31 Luglio: Fabi – Silvestri – Gazzè. Ero incerta sull’andarci, ma vista l’unicità dell’evento, ed essendo l’ultima data in assoluto (almeno leggendo il comunicato stampa) del tour per “Il padrone della festa”, uscito l’anno scorso, alla fine posso dire di aver fatto benissimo. Certo, la “scusa” è stata quella dell’album in trio, sul palco invece si è assistito anche (e sprattutto) a tre artisti in concerto, fusi nell’amicizia e emozionanti nelle loro individualità. Un turbinio di ricordi, di testi che credevo dimenticati e sepolti, da decine di vite nuove, nella mia tardo adolescenza. Quasi 20.000 persone, di cui diverse migliaia entrate grazie ad un regalo del gruppo ai fan (per chi voleva, il biglietto della data di Verona sarebbe stato valido anche per Capannelle) che cantavano a squarciagola: empatizzavano con i testi dell’ultimo Niccolò Fabi, stavano dietro ai brani logorroici di Daniele Silvestri, e non incespicavano nelle rime scioglilingua di Max Gazzè. Gli ormai ex giovani della scena cantautoriale romana hanno offerto più di 20 anni di canzoni italiane, una o due note delle quali appartiene al bagaglio emotivo di tutti, non credo di esagerare nel dirlo. Con loro sul palco un ensemble di alto livello di musicisti, tra gli altri: Piero Monterisi, Adriano Viterbini e Roberto Angelini.
Per una volta, alla fine del concerto, non sono stati gli artisti, i primi ad andarsene. Mentre il pubblico piano piano defluiva, Niccolò Fabi usciva ancora sul palco per guardare la gente e sorridere, almeno due volte gli altri due sono riusciti per tirarlo via. Ma ancora lui ha continuato ad affacciarsi finché la platea non è stata praticamente vuota.
Il Postepay Rock in Roma non è ancora finito. A breve torneremo a parlarne.
Stay tuned.
(Elisabetta De Ruvo)