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La psichedelia è suono o è attitudine, o è entrambi? Cosa significa suonare musica psichedelica nel tempo in cui viviamo, sempre più ricco di réprise e riadattamenti di antiche strutture e sistemi? Basta imitare quello che già conosciamo ed eseguirlo al meglio, o serve proporre qualcosa di più? Sono domande che mi pongo ogni volta che inizio e ogni volta che concludo l’ascolto di qualsiasi album che si professi psych.
È capitato anche per questo nuovo album di Slim Twig, artista canadese recentemente scoperto dalla DFA. Max Turnbull – questo il suo vero nome – non è però quello che si può definire un artista emergente: all’attivo ha già cinque LP, e solo un anno fa si è fatta avanti con lui la celebre etichetta newyorchese. Con sua grande sorpresa, visto che la label di John Murphy non è consueta addentrarsi così al di fuori da quella proposta electro-pop colto che la contraddistingue.
Quello che Slim Twig propone da sempre, e anche con questo suo ultimo lavoro, è uno psych-rock dal sapore acido, che pesca a piene mani dai torrenti variopinti della tradizione e della nostalgia seventies, senza mai scadere però nel banale e nel prevedibile, ma anzi esprimendo con forza una spiccata capacità di innovazione – per quanto possibile – del genere di appartenenza. L’esempio calzante è la cover di “Cannabis” di Serge Gainsbourg, che qui viene riletta in maniera molto più rumorosa, con un basso distortissimo e noise, e stravaganti divagazioni di chitarra elettrica. Non a caso è il pezzo che chiude l’album, come a diventarne la sintesi perfetta.
Una fusione a caldo tra atmosfere psych e noise molto riuscita, che infatti fa da collante a tutto il resto dell’album, durante il quale si assiste comunque ad una incessante trasformazione dei registri e delle sonorità, tanto che è difficile ascoltare lo stesso riff per più di due minuti. Come ha bene imparato da quelli che sono senza dubbio i suoi maestri – tra tutti, Frank Zappa – anche Slim Twig si diverte a fare capriole musicali e a mostrare quanto è bravo ogni volta ad atterrare su due piedi, confezionando un numero da applausi.
Un po’ di esempi come guida all’ascolto: “Fog Of Sex (N.S.I.S)” comincia con un flauto dalle tinte sinistre che poi lascia spazio ad un duo rock’n’roll chitarra-basso sensualissimo, che sembra quasi sculettarci nelle orecchie – il titolo del pezzo ci aveva anche avvertiti. In “Textiles On Mainstreet” si alternano strofe barocche musicate con acid-folk a ritornelli di chitarra tagliente. “Live In, Live In Your Era” invece sembra arrivare dagli ultimi anni ’70, a tanto così dai T-Rex. In “She’s Sticking With Twig” si sente quello che potrebbe benissimo essere un clavicembalo, e in “Slippin’ Slidin’” Twig si mette a giocare pure con qualche inserto di elettronica (e infatti è uno dei pezzi più corposi dell’album, scelto anche come primo singolo di lancio).
Al termine del disco è inevitabile porsi la questione che avevamo presentato all’inizio: bastano due chitarre acide e distorte per suonare psych-rock? La risposta che abbiamo sulla bocca è “forse”. Ma se si vuole fare qualcosa di psych-rock memorabile, nel duemilaquindici, serve fare di più. Come Slim Twig.
74/100
Enrico Stradi