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Molly Hamilton e Robert Earl Thomas, il duo capellone marito+moglie che costituisce i Widowspeak, dicono di aver lasciato Brooklyn per trasferirsi nei boschi dell’Hudson Valley, un posto sull’East Coast dello stato di New York che conta molti più alberi delle persone che ci abitano. Una dimensione naturale per la band, che già dagli esordi propone un sound americano molto devoto alla tradizione.
Tutto il percorso dei Widowspeak infatti può essere visto come un tentativo di collezionare tutte le più fortunate espressioni della musica rock statunitense, riconvertendole ad una loro personale estetica vintage: i primi due dischi – “Widowspeak” del 2011 e “Almanac” del 2013 – si addentrano nelle trame country e folk, mentre nell’ultimo EP – “The Swamps” – sondano i terreni del blues.
Con “All Yours” il duo decide di esplorare un po’ più smaccatamente altre sonorità, sempre conservando quel sapore di antico che li contraddistingue. Non aspettatevi perciò grossi cambiamenti, ma qualche aggiustatina qua e là: la ricetta rimane la stessa, ovvero Thomas alla chitarra e la moglie Molly alla voce, con quel suo cantato che sa di zucchero.
Anche i primi due estratti – “Girls” e “All Yours” – non sembravano suggerire nulla di nuovo, e infatti la sensazione che si ha è che questo disco abbia la sola pretesa di fare belle canzoni facili da cantare. Una sensazione soprattutto generale e complessiva, che è più difficile da identificare in momenti precisi. Ma ci si può comunque provare, ed allora da tutto l’insieme delle dieci canzoni ne emergono alcune su altre, tutte accomunabili da inedite sonorità indie-rock: “Stoned”, “Narrows”, “Hands” e “Borrowed World” aggiornano i riferimenti musicali-temporali dei Widowspeak, suonando molto più anni ’90 rispetto alle sonorità country-blues-folk a cui ci avevano abituati fino ad adesso. E che non vengono ovviamente accantonate, ma riprese in altri episodi dell’album, come “Coke Bottle Green”, “Cosmically Aligned” e i due estratti sopra citati, “Girls” e “All Yours”.
Nel complesso quindi questo terzo LP dei Widowspeak piace e convince: il rischio per la band era quello di diventare un cliché di loro stessi, suonando sempre le stesse cose allo stesso modo. Senza rivoluzioni innaturali invece, il duo marito+moglie ha saputo innovarsi quel tanto che basta per trovare nuovi stimoli e nuova creatività, forse anche in una maniera più convincente di prima.
69/100
Enrico Stradi