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Un artista, di nome e di fatto, è lo specchio dei propri tempi. Quantomeno dovrebbe provarci. I Kraftwerk, in oltre quarant’anni di carriera, hanno saputo leggere presente e futuro, descrivendo, prima e meglio di tutti, la relazione tra macchina ed uomo; il mondo post-industriale e tecnologico. Il gruppo nasce come duo (Ralf Hütter e Florian Schneider) verso la fine degli anni sessanta – inizio anni settanta, si inserisce inizialmente nella corrente kraut rock. E se ne distanzia quasi subito, in particolar modo Hütter abbandona il progetto Kraftwerk nel 1971 per divergenze musicali: Klaus Dinger (poi Neu!, La Düsseldorf), d’accordo con Schneider, vuole indirizzare le coordinate sperimentali su una sottostruttura rock leggermente più tradizionale. Cosa che naturalmente non avviene. E nel 1972 i due studenti della Robert Schumann Hochschule (conservatorio di Düsseldorf) ritornano a lavorare insieme iniziando un processo di composizione innovativo: un dialogo umano con le “macchine”, ossia batterie elettroniche (a partire da “Kraftwerk 2”, 1972), vocoder (progettato dagli ingegneri del suono Leunig e Obermayer e presente per la prima volta in “Ralf und Florian”, 1973), minimoog, sequencer. Tutto ciò, prima che venisse inventato il protocollo MIDI (Interfaccia digitale per strumenti musicali): linguaggio di comunicazione digitale per l’interazione tra strumenti musicali. E quindi Hütter e Schneider, poi aiutati notevolmente da Wolfgang Flür e Karl Bartos (soprattutto nella seconda metà degli anni settanta), sono a tutti gli effetti i pionieri della musica elettronica, figure di riferimento per la “Synth Britannia”, la Techno. Così avanti che da anni, se si esclude “Tour de France Soundtracks” (2003), i Kraftwerk non producono più materiale discografico inedito. Da tempo sono concentrati esclusivamente sul concetto di art performance audio visiva. Idea che parte da lontano: nel 1975 in alcuni concerti proiettano slide statiche; nel 1981 è il turno dei videoclip trasmessi su quattro schermi costruiti su misura dalla Sony; nel 2002 viene utilizzato un unico grande schermo con tre video proiezioni. E nel 2012 avviene il passo ulteriore : cominciano ad utilizzare la tecnologia 3D. Il concerto al Teatro dell’Opera ha ospitato questo nuovo spettacolo, già portato in Italia un anno fa all’Auditorium di Roma. La formazione ovviamente non è più quella del periodo d’oro, è rimasto solo Ralf Hütter: Flür e Bartos non fanno più parte del progetto dal venticinque/ventisei anni e Schneider ha lasciato il gruppo nel 2008. La line up attuale è, quindi, da un certo punto di vista, particolare: comprende al suo interno un elemento nuovo come Falk Grieffenhagen (video manipolatore) e Fritz Hilpert (collaboratore dal 1987) ma non solo, vi è presente anche Henning Schmitz, ingegnere del suono della band dal 1978. Un buon compromesso dopotutto. I quattro, tutti vestiti uguali, con una tuta aderente e luminosa, hanno ciascuno una postazione personale, dalla quale come piloti di un aereo premono i tasti (beh, non proprio) e guidano i viaggiatori/spettatori in un lungo percorso – circa due ore di installazione – tra immagini, video e musica (sì, musica elettronica: tastiera midi, controller midi, interfaccia di cubase, iPad). Introduzione con il vocoder – “Damen und Herren”- e fin dal primo minuto l’impatto visuale è forte, coinvolgente, in grado di colpire al primo sguardo. I colori sono quelli di sempre: il giallo/grigio della copertina di “Computer world”, tendente al verde come la marea di numeri proiettati sullo schermo in apertura. E poi il nero/rosso dei caratteri di “Man Machine”, alternati a una grafica stilizzata dei quattro Kraftwerk. Altra coppia cromatica : il bianco-nero del serpentino “Trans Europe Express”. E dove il gioco di colori non arriva, a fare la differenza è la forza nel riuscire a trasmettere, tramite pochi simboli/oggetti, un immaginario (post-industriale) significativo: le centrali e disastri nucleari (“Radioactivity”), l’ “Autobahn “ con maggiolino e le note fuori dall’autoradio (sparate in faccia al pubblico). Note sempre vaganti anche nel brano di chiusura, “Music non stop”. L’uso delle luci, poi, è indirizzato a valorizzare i contrasti. Anche se forse la tecnologia 3D, in alcuni punti, non è sviluppata appieno: durante “The Model”, al posto degli effetti, viene proposto molto semplicemente il videoclip del pezzo. Un po’ come accade per Tour de France. Ma a parte questi momenti la comunicazione visiva è continuamente penetrante, martellante. Il punto più alto è la (non) esecuzione di “Robots” : il gruppo lascia il palco, al suo posto quattro manichini dalle movenze robotiche. Un gesto che racchiude in pochi minuti la storia dei Kraftwerk.
Scaletta:
Vocoder Intro
Numbers
Computer World
It’s more fun to compute/ Home computer
Computer Love
Pocket Calculator (Versione italiana)
The Man-Machine
Spacelab
The Model
Neon lights
Autobahn
Airwaves
Geiger Counter /Radioactivity
Electric Cafe
The Telephone Call
Tour de France
Tour de France 2003
Trans europe express
Metal on Metal
Abzug
Robots
Aero Dynamik
Planet of Visions
Boing boom tschak
Techno pop
Music non stop
(Monica Mazzoli)