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In breve Harry Nilsson è una delle voci più belle del pop americano, talento apprezzato, non a caso, dai Beatles. Con i quali l’artista californiano (d’adozione) ha anche collaborato in alcune occasioni: ad esempio, su richiesta di Paul McCartney, nel 1968, Nilsson scrive “The Puppy song” per Mary Hopkin, artista gallese sotto contratto della Apple. E nel 1974 realizza pure un disco in collaborazione con John Lennon, “Pussy Cats” (contenente sia cover che inediti), lavoro che però, da un certo punto di vista, inizia a mostrare una voce angelica che non è più tale, rovinata dall’alcol e dai bagordi da rockstar. Sono ormai lontani i tempi da impiegato alla Security First National Bank : quando Nilsson si divideva tra calcoli, conti e note musicali, cercando di far decollare la sua avventura discografica, prima su Mercury Records – etichetta con la quale incide un solo 45 giri, “Donna, I Understand/ Wig Job” (1963), accreditato erroneamente a Harry Nielson/Johnny Niles – e poi con i brani sotto pseudonimo Bo-Pete (“Do You Wanna / Groovy Little Suzie”), seguiti da quelli registrati, a nome Nilsson, per la Tower Records e raccolti in seguito nella compilation, “Spotlight On Nilsson” (1966). L’anno davvero importante è, però, il 1967: il 19 gennaio il musicista firma un contratto con la RCA Victor Records, etichetta che gli mette a disposizione un ufficio dove di notte poter lavorare alla scrittura di canzoni, un po’ come aveva fatto in passato la Rock Music, Inc. di Perry Botkin Jr. e Gil Garfield. “Cuddly Toy”, tra i brani autografi del debutto “Pandemonium Shadow Show” (1967), segna un passaggio nodale nella vita di Nilsson: la canzone, eseguita ed inserita dai Monkees nell’album “Pisces, Aquarius, Capricorn & Jones Ltd.” (1967), (ri)lancia la carriera di entrambi.
L’apice qualitativo (o quantomeno uno dei suo dischi più belli) Nilsson lo raggiunge però con la colonna sonora scritta per il lungometraggio animato, The Point (1971, tradotto in Italia come La storia di Oblio nel paese degli uomini con la testa a punta), che ha origine da un’idea dello stesso musicista. Più precisamente il punto di partenza per la stesura della storia prende forma verso la fine del 1969, prima del suo secondo matrimonio (quello con Diane Clatworthy). Alcuni caratteri della favola sono di fatto ispirati dalla vita domestica della coppia, come ricorda Bill Martin, uno degli attori che ha prestato la voce per il film:
“Dove vivevano a Woodrow Wilson, era una sorta di area selvaggia. C’era una zona di campagna là dove era solito andare a spasso con il loro cane, Molly, e questa è l’evoluzione di The Point e ‘Me and my arrow’
(estratto da “Nilsson: The life of a singer-songwriter” (2013), Alyn Shipton) “
Arrow è il cane di Oblio, bambino dalla testa rotonda che è il protagonista del racconto. Il ragazzino, per sua sfortuna, nasce in un villaggio di persone con il capo a punta. L’avvenimento contraddistingue in modo profondo il suo vivere quotidiano, a tal punto che indossa un cappello per cercare di nascondere la sua difformità e farsi accettare dagli abitanti del paese. Tutto sembra procedere per il meglio fino a quando non si scontra, dopo un gara al lancio di triangoli, con il figlio del Conte, e, in seguito a un processo lampo, è costretto all’esilio nella Foresta senza punte, ambiente dove vivono le creature più strane: api enormi, l’uomo roccia, l’uomo di foglie, l’uomo a punta e tanti altri. La permanenza in questo luogo dalle mille differenze non durerà poi così a lungo ed Oblio tornerà a casa, con una mentalità aperta alle diversità e convincerà alla larghezza di vedute anche i suoi compaesani riuscendo a farsi accogliere come un eroe.
Il bel messaggio della favola si sviluppa in maniera colorata, fanciullesca ed innocente (un po’ come lo era stata la psichedelia inglese) attraverso i disegni di Fred Wolf, che prendono ispirazione da Heinz Edelmann, art director del beatlesiano Yellow Submarine e dall’Op art della londinese Bridget Riley . La genesi concettuale della storia è influenzata dal massiccio quantitativo di droghe assunto da Nilsson, in particolare di LSD, come viene sottolineato nella biografia, “Nilsson: The life of a singer-songwriter” (2013) di Alyn Shipton:
“Nilsson sentiva che la sua visione di un mondo tutto punte e spigoli, nata durante un suo trip di acidi nel quale la droga aveva reso nitido e pungente alla vista ogni dettaglio di alberi, foglie, sassi, volti, edifici, era molto vicina all’approccio di Wolf:
Era soltanto un’idea, come la maggior parte delle cose, più passeggi pensando all’idea e più che aumentano gli scambi. Ho appena realizzato che era uno dei giochi di parole mondiali più lunghi. E ho realizzato, Dio!Punto vendita! Punto di vista!Punto di… e tutte queste cose. Ho scritto ventidue pagine, come le chiamano, trattamento (nda. passaggio intermedio tra soggetto e sceneggiatura), e l’ho sottoposto ad una persona dell’ABC
(estratto da un’intervista a Nilsson di Stuart Grundy, BBC, 1977) ”
All’inizio del 1970 è Carole A Beers a lavorare, insieme al musicista, all’estensione dello scheletro della storia, anche se, a fine anno, la scrittrice viene licenziata e sostituita da Norm Lenzer, in grado di dare la giusta direzione alla sceneggiatura ed evitare la deriva fantascientifica della Beers. E poi elemento fondamentale da tenere in considerazione : la musica viene prima delle immagini. Sebbene la colonna sonora venga pubblicata nel 1971, Nilsson già nel dicembre 1969 aveva cominciato a registrare le canzoni, che con il senno di poi si rivelano in totale sincronia con il cartone animato, ma non solo: pur avendo un spirito bambinesco, hanno arrangiamenti all’insegna di melodie dolci e leggiadre, in perfetto stile pop, anche grazie alla mano di George Tipton.
In definitiva si tratta di un film (con relativa musica) capace di catturare la fantasia dei bambini, senza che il fascino svanisca in età adulta.
Versione con la voce narrante di Ringo Starr (nell’originale il ruolo è di Dustin Hoffman):
(Monica Mazzoli)