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Di solito le belle canzoni raccontano una storia, che inizia e finisce nel giro di qualche minuto. “Ashes to ashes” (1980), brano di David Bowie, va oltre: contiene tante immagini, quelle di una vita tra arte, finzione e realtà. Personaggi e maschere, frutto dell’immaginazione, raccontano il tempo che passa, quello sì reale. Nel pezzo rivive il Major Tom di “Space Oddity”(1969) e la RCA, per pubblicizare il singolo, pubblica negli USA un dodici pollici promo intitolato “The continuing story of Major Tom”. Il ritorno del protagonista di un vecchio brano, però, non è altro che una trovata narrativa: il musicista londinese, attraverso il carattere dell’astronauta perso nello spazio, parla di se stesso e dei suoi anni settanta. Il titolo della canzone – “Ashes to ashes” – è significativo, fa riferimento ad una preghiera di tradizione anglicana, di usanza funeraria: “ashes to ashes, dust to dust”/ “cenere alla cenere, polvere alla polvere”. Il funerale, chiaramente, è quello del Major Tom che morirà, insieme agli altri “scary monsters”, tra le strofe e le note del brano per volere del suo creatore/interprete (Bowie). Ma prima di essere messo da parte l’astronauta reciterà ancora per l’ ultima volta: ricompare, la torre di controllo riceve un suo messaggio:
“Do you remember a guy that’s been
In such an early song
I’ve heard a rumour from Ground Control
Oh no, don’t say it’s true
They got a message
from the Action Man
“I’m happy, hope you’re happy too
I’ve loved
all I’ve needed to love
Sordid details following” “
“Vi ricordate di un ragazzo che stava
In una delle primissime canzoni
Ho sentito una voce dalla Torre di Controllo
Oh no, non ditemi che è vera
Hanno ricevuto un messaggio
dall’Action man
“Sono felice, spero che anche voi lo siate
Ho amato tutti quelli
che avevo bisogno di amare
Seguono sordidi dettagli” “
Le frasi di circostanza del Major Tom – della serie “vissero tutti felici e contenti”- sono sfuggenti, ambigue e nascondono un vissuto esistenziale critico e problematico. I “sordidi dettagli” vengono poi narrati, in maniera sempre elusiva, nel ritornello e nella strofa seguente:
“Ashes to ashes, funk to funky
We know Major Tom’s
a junkie
Strung out in heaven’s high
Hitting an all-time low
Time and again I tell myself
I’ll stay clean tonight
But the little green wheels are following me
Oh no, not again
I’m stuck with a valuable friend
“I’m happy, hope you’re happy too”
One flash of light
but no smoking pistol”
“Cenere alla cenere, funk al funky
Sappiamo che il Maggiore Tom
è un tossico
Confinato nell’alto dei cieli
Raggiunge una depressione senza fine
Un’infinità di volte mi sono detto
Devo rimanere “pulito” stanotte
Ma le piccole rotelline verdi mi inseguono
Oh no, non un’altra volta
Sono bloccato da un amico prezioso
“Sono felice, spero che anche voi lo siate”
Un lampo di luce
ma nessuna pistola fumante”
Il Major Tom è diventato un “junkie”, ossia un drogato. Una dichiarazione dalla forte componente autobiografica: è praticamente impossibile non pensare al Bowie dipendente dalle droghe e divorato da paure, ansie e difficoltà personali, familiari, finanziarie. Lo sguardo verso il passato risulta quindi estremamente spietato: ” I never done good things/I never done bad things/
I never did anything out of the blue” (“Non ho mai fatto cose buone/Non ho mai fatto cose cattive/Non ho mai fatto niente di inaspettato”). Un giudizio troppo severo ma sostenuto dallo stesso artista anche in un’intervista, sulle pagine di NME, di Angus McKinnon nel 1980: “Ho un sacco di riserve su quello che ho fatto, nel senso che ho la sensazione che in massima parte non siano cose di rilievo”.
In chiusura di testo si aggiunge poi il monito materno – “My mother said/to get things done”(“Mia madre mi diceva/di portare a termine le cose”) – che nella forma richiama una filastrocca per l’infanzia : “My Mummy said/that I never should/play with the Gipsies in the wood” (“La mamma mi ha detto/che non dovrei mai/giocare con gli Zingari nel bosco”). Una scelta voluta: nella mente di Bowie la canzone doveva possedere un lato infantile e malinconico. La scrittura delle melodie del brano è infatti ispirata da “Inchworm” (1952) di Danny Kaye: “Avevo sette o otto anni quando è uscito. Gli accordi sono stati tra i primi che ho imparato sulla chitarra. Sono accordi notevoli, molto malinconici. “Ashes to ashes” ne è influenzato.”*
Il risultato, prodotto da Bowie, è una canzone pop con un beat ska ma dai toni tristi e sintetici. La ragione è semplice: nel pezzo aleggia un’elegante inquietudine, data dall’artificialità di certi elementi, come la chitarra-sintetizzatore Roland GR-500 utilizzata da Chuck Hammer (“è venuto alle nostre sessioni con questa chitarra sintetizzatore che non avevo mai visto e sentito” *, Tony Visconti, co-produttore) e come il pianoforte a coda trattato con il dispositivo Eventide Instant Flanger. A far da contrasto a questa struttura sonora il “funk to funky” dello slap di basso.
Al brano si lega poi, quasi indissolubilmente, il video del regista David Mallet. Nel clip Bowie è vestito da Pierrot (costume disegnato da Natasha Kornilof, collaboratrice occasionale): la prima maschera indossata, quando l’artista faceva parte verso la fine degli anni settanta della compagnia di mimo di Lindsay Kemp e recitava in “Pierrot in Turquoise”. Simbolicamente questo primo personaggio, a livello di comunicazione visiva, rappresenta i mascheramenti utilizzati nel corso degli anni. Ma per tutti i costumi di scena è giunta la fine: Pierrot è seguito, non a caso, da un gruppo di persone dall’aspetto tetro (tra cui anche Steve Strange dei Visage), quasi si dovesse celebrare un funerale. E forse è proprio così.
* virgolettato con l’asterisco ripreso da: Nicholas Pegg, “The Complete David Bowie” (edizione italiana, Arcana, versione 2012)
(Monica Mazzoli)