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Ci sono dei piccoli accorgimenti che diversificano un buon concerto da uno eccezionale. Certo, se alcuni di questi non possono prescindere da chi effettivamente si esibisce (che so, il pessimo umore o la peggiore acustica di sempre potrebbero rovinarvi persino il concerto dei *inserite il nome del gruppo che più vi piacerebbe vedere al mondo*); ma qualche elemento riesce a trasformare la più anonima delle serate in un qualcosa di indimenticabile anche per l’ascoltatore meno attento.
Di sicuro la passione incondizionata per ciò che si fa aiuta molto, e fa trascendere simpatie e antipatie per i musicisti, generi e inconvenienti vari. Ed è questo il fattore vincente dei The Winstons, power trio estemporaneo formato da Enrico Gabrielli, Roberto Dell’Era e Lino Gitto (pardon: Enro, Rob e Linnon Winston) che per questo mese hanno abbandonato i loro soliti compagni d’avventura per dedicarsi ad un estenuante tour de force di ben diciannove date (con pochissimi day-off) e far uscire un incredibile disco omonimo dove i tre si divertono un sacco all’insegna del prog e della psichedelia di stampo canterburiano .
Date queste premesse con un po’ di curiosità il GLUE di Firenze si riempie in fretta di un pubblico molto differenziato- anche se comunque il sottoscritto e compagnia sono di gran lunga i più giovani (grazie Firenze per ricordarmi continuamente che non ti sono così graditi gli under 30).
A dare il calcio d’inizio alla serata sono i Sex Pizzul, trio fiorentino nato da poco che si propone di unire composizioni di stampo dance e vagamente math ed afro-beat a testi di argomento calcistico; mi sarebbe piaciuto potervi dire di più su come un non appassionato di calcio come me possa reagire a questa curiosa combinazione, ma ahinoi dalla voce non si riusciva a captare non dico una strofa ma almeno un verso. Sarà per la prossima.
Appena salgono gli Winstons sul palco cala il silenzio, tutto il pubblico non vede l’ora che si dia inizio allo spettacolo. E “one-two-three” parte la magia con “Nicotine Freak”, l’acidissimo primo singolo estratto dal disco, seguito a ruota da altri pezzi, lisergici e movimentati quanto basta per far ballare tutte le prime file come durante la Summer of Love.
Ma in realtà non puoi distrarti un attimo, neanche per muoverti, perché sul palco succedono cose strane: i tre musicisti non si accontentano del compitino e ne pensano sempre una per spiazzarti, si scambiano la linea vocale in continuazione, cambiano strumenti, cambiano il loro posto sul palco.
E proprio da questa situazione, con Lino Gitto che occupa la postazione di Gabrielli dietro alle tastiere per suonare e cantare “Dancing in the Park”, che troviamo il tuttofare dei Calibro 35 in veste inedita dietro alle pelli della batteria a battere su piatti e tamburi, oltre che sul sintetizzatore posto accanto alla batteria (se qualcuno se lo chiede: sì a quanto pare potrebbe essere un buon percussionista noise).
E quindi, tra assoli di sax, bassi suonati con archetti da violino, e incredibili solo di batteria si ariva ad un’altra delle mille sorprese della serata, ovvero la cover di “I Know What I Like (in Your Wardrobe)” direttamente da un signor disco come “Selling England by the Pound”, sommerso da quintali di storia ma finalmente libero di poter tornare a suonare in una serata come questa dove sembra chiaro che vale tutto.
Infatti i tre amiconi sul palco sono allegri come tre ragazzini in sala prove e regalano qualche improvvisazione e un po’ di sano cazzeggio, tanto che verrebbe voglia di salire sul palco con loro per fare un po’ casino o mettersi a rispondere ai deliri sconnessi di Gabrielli tra un pezzo e l’altro con un altrettanto sconnesso “FATE I NABAT”, ma per fortuna alla fine prevale quel minimo senso di pudore.
E in un lampo si arriva ai saluti finali, senza nemmeno accorgersene. E cosa c’è di meglio per lasciarci se non fare a pezzi i brandelli di cuore che sono sopravvissuti a questo inizio 2016 pieno di lutti? Ecco quindi –un po’ improvvisata- “c-c-c-Changes” (non un pezzo a caso per il sottoscritto, ma il mio pezzo preferito di Bowie), da cantare in coro nascondendo la lacrimuccia all’angolo dell’occhio.
Tre amici che suonano per altri amici i pezzi che gli piacciono, senza finzioni, tutto il più vero possibile. Gli Winstons sono quell’evasione dalla realtà che ci mancava e di cui avevamo bisogno. Non lasciatevi scappare l’opportunità di vederli.
Matteo Mannocci