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“Doing The Right Thing” è il secondo disco per 4AD dei londinesi Daughter, il trio formato da Elena Tonra (chitarra e voce), Igor Haefeli (basso) e Remi Aguilella (batteria). Acquisita una certa notorietà grazie a brani come “Smother” e “Youth” estratte da “If You Leave” del 2013, il gruppo ha voluto alzare il tiro della propria proposta e distaccarsi almeno in parte dal mood intimistico e rarefatto dell’esordio. Il colpo ad effetto (boomerang?) è rappresentato da una produzione molto più corposa e invadente, con l’ausilio del francese Nicolas Vernhes (Deerhunter, Wild Nothing, Spoon, Animal Collective). La scrittura dei Daughter si riempie di hook e la musica di quell’appeal indie-mainstream à la ultimi Arcade Fire e suoni stratificati, al limite dell’esagerazione formale almeno per il gusto del sottoscritto.
Un titolo quale “New Ways” posto in apertura ne è dimostrazione lampante, tutto è perfetto nell’equilibrio delle parti con chitarre e synth a integrarsi a vicenda e sovrastati unicamente dalla voce della Tonra, mai come ora simile a quella di Cat Power; “No Care” è un’altro brano inattaccabile e dritto al punto, seppur desueto nella produzione del trio, nel proporci St Vincent condita in salsa jungle. “Numbers” ritorna più vicina ai primi singoli anche se dimostra una nuova volontà di osare e spingersi oltre nel dirompente stacco intermedio che sfocia in un diluvio di chitarre liquide e in un beat accelerato e simil elettronico. Se nella torrenziale “Fossa” l’ombra dei National è più che dietro l’angolo, “Alone/With You” si cala invece in uno scenario trip-hop, con un testo banale e soluzioni vocali che aggiornano la lezione eterea dei Cocteau Twins. La riverenza per Jeff Buckley e un cantautorato di profondità espressiva trova sfogo solo nella gemma “Made of Stone”, mentre l’altro singolo “Doing The Right Thing” mi fa pensare a come potrebbero suonare i Coldplay oggi se fossero rimasti sulla lunghezza d’onda dei loro primi splendidi album.
La costante dei refrain ottantiani conditi di wave (“Mothers”, “To Belong”) è decisiva ai fini della valutazione di un lavoro che appare costruito a tavolino e troppo legato ai modelli che lo hanno preceduto. I fan dei Daughter si fregheranno le mani, gli addetti ai lavori un po’ meno.
Un album di transizione, si dice così?
62/100
(Matteo Maioli)