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A farci capire che il loro progetto non era tanto (più) un semplice divertissement tra amici ci avevano pensato i primi tre estratti da questo esordio discografico: pubblicati in versione live a metà gennaio “Beneath The Black Sea”, “Kind Things” e “Mt. Storm” sorprendevano parecchio all’ascolto, mettendo rapidamente da parte lo scetticismo di chi storceva il naso a pensare alla collaborazione discografica tra un polistrumentista spesso al lavoro con i Beirut (Benjamin Lanz) e il batterista e il bassista dei The National (Bryan e Scott Devendorf). Se qualcuno infatti si aspettava una ribollita delle soluzioni sonore delle band di appartenenza, ha dovuto fare i conti con tre brani contraddistinti da una convincente miscela fluida di post-punk, psych e shoegaze, capace di attirare rapidamente l’attenzione sul prossimo disco in uscita del trio, intitolato alla stessa impronunciabile maniera del gruppo – “Lnzndrf”.
Ora che il disco è uscito per la 4AD si possono confermare le impressioni iniziali: quello dei Lnzndrf è un progetto di tutto rispetto, e che dimostra già con l’esordio di avere davanti grandi possibilità di espansione. D’altronde, non stiamo parlando di artisti emergenti, ma di musicisti esperti con una chiara idea in testa di cosa suonare e come suonarlo: il loro è un suono che stupisce per la sui fluidità, capace com’è di passare con abilità dal post-punk, allo psych-rock, al kraut, al cosmic, all’ambient. Molto è dovuto anche ai metodi di composizione e registrazione adottati dalla band: “Lnzndrf” è infatti stato registrato durante numerose jam-session tenutesi per due giorni e mezzo in una chiesa di Cincinnati. Questo senza dubbio ha contribuito a donare all’album un mood parecchio distensivo e allo stesso tempo cangiante, con le canzoni che spesso divagano tra i generi oltrepassando i sei minuti di durata.
Ogni brano è infatti costruito alla stessa maniera: senza porsi limiti di tempo, chitarra, basso e batteria disegnano le architetture sonore nella maniera tipica dell’improvvisazione, partendo da strutture semplici e aggiungendo uno strumento sopra all’altro, senza una direzione precisa o apparente. È una cacofonia di riverberi di due minuti ad introdurre prima il giro di basso e poi i riff di chitarra nell’iniziale “Future You”; è la batteria a creare i vuoti da riempire con la chitarra shoegaze in “Mt Storm”; è la chitarra riverberata a costruire il tempo di “Hypno-Skate”, prima che la traccia si arricchisca con batteria, basso e tastiere.
Più volte vi capiterà di sentirci i New Order – forse la traccia più debitoria in queso caso è “Beneath The Black Sea” – ma non fatevi trarre in inganno dalle somiglianze, seppur a tratti innegabili. Il lavoro dei Lnzndrf guarda molto di più alla sperimentazione e/o alla natura caleidoscopica delle jam-session più che ad un genere ristretto o a influenze definite. In questo senso, forse la traccia più rappresentativa dell’album è la conclusiva “Samarra”, in cui i tre giocano per sei minuti a far diventare musica il rumore. Allora se proprio volete un nome, pensate a Brian Eno.
78/100
(Enrico Stradi)