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Praticamente un anno impiegato soltanto per completarne la registrazione: il titolo dell’esordio dei giovani berlinesi – ma londinesi d’azione – Ulrika Spacek si spiega praticamente da solo. Eppure “The Album Paranoia” non è come ce lo fa immaginare il titolo: anzi, è un disco che mette in mostra una band parecchio in forma, agile, con una notevole dimestichezza compositiva, e nel cui suono ibrido confluiscono parecchie sfumature rock: psych-, alt-, indie-, space-, fuzz-.
Un suono ibrido che non è certo qualcosa di sensazionale, in un decennio come quello che stiamo vivendo che non fa altro che proporre la rielaborazione di generi come modus operandi di chi vuole fare musica.
Non si sono quindi inventati nulla di nuovo nemmeno Rhys Edwards e Rhys Williams – i due frontmen nati e cresciuti a Berlino e poi trasferitisi poco fuori Londra – ma non si può negare ai loro Ulrika Spacek di dimostrare già all’esordio una certa caparbietà nel sapersi orientare bene tra le sonorità derivative del decennio che viviamo. E così non infastidiscono quei momenti in cui il sound si avvicina troppo a qualcosa di già conosciuto (il riff che apre il disco nell’opening track “I Don’t Know” ricorda parecchio “Don’t Play With Guns” dei Black Angels), perchè in realtà sono davvero rari: in tutto il resto delle canzoni le influenze e le derivazioni rimangono indistinte in un agglomerato sonoro omogeneo e dinamico, che appena comincia ad apparirci troppo familiare ecco che ci sorprende cambiando repentinamente nelle forme e nei colori.
Succede così nella prima traccia, in cui le distorsioni psych-rock lasciano spazio a loop shoegaze. E più avanti non si fa in tempo ad apprezzare l’indie rock di “Porcelain” che nella seguente “Circa 1954” i suoni rallentano e si dilatano in un fluido intermezzo cosmico. Oppure capita di stare ancora pensando soddisfatti a che pezzone di psych sia “Beta Male” quando le chitarre grunge di “Nk” arrivano per spettinarci i timpani.
Alla fine insomma “The Album Paranoia” è una prova convincente, al netto della giovane età della band e delle normali, comprensibili, prevedibili influenze, più o meno palesi che siano. Indie rock anni ’90, lisergie rock’n’roll, sporcizie lo-fi, divagazioni shoegaze: le idee ci sono, i suoni pure. Per un disco d’esordio va benissimo anche così.
73/100
(Enrico Stradi)