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Sembra uscito ieri, ma da “Nocturne” sono passati già quattro anni. Un lasso temporale che o non si è proprio avvertito o si è avvertito senza che quel secondo album di Wild Nothing suonasse prematuramente obsoleto. Quell’elegante pop variegato piace e funziona ancora oggi, ancora ora, anche durante l’ascolto di questo nuovo album “Life Of Pause”.
Nell suo terzo ellepì, Jack Tatum continua a lavorare sull’evoluzione del suo sound, che è per sua stessa natura in continua mutazione. È un pop liquido, capace di assumere un mood e di cambiarlo repentinamente: la chiave del successo di “Nocturne” era proprio l’essere riuscito a dare coerenza alle diverse atmosfere sonore presenti nel disco, con soluzioni fresche, eleganti e originali. In “Life Of Pause” invece questo lavoro viene meno: le idee non sempre trovano un ordine comprensibile o un contesto che riesca a rendere l’agglomerato di suoni un mix del tutto godibile.
L’album vive momenti molto ispirati: basti pensare alle marimbe che
aprono l’opening-track “Reichpop”, prima che il pezzo si arricchisca di colori caldi e sfaccettature indie-pop vicine ai Bombay Bicycle Club e Wild Beasts; alle chitarre di “Japanese Alice”, sospesa in una dimensione temporale tra The Jesus And Mary Chain e Deerhunter; ai riverberi new-wave di “To Know You” e allo psych-pop di “Adore” che ricorda alla lontana i Tame Impala all’epoca di “Lonerism”; e infine, al sax e alle atmosfere Motown di “Whenever I”.
Da soli, questi cinque pezzi costituirebbero un ottimo disco. Calibrati, efficaci, originali nel loro spaziare con stile e personalità tra i generi musicali e le influenze di Tatum. Il problema di “Life Of Pause” è però che contiene altri sei brani, in cui le idee diventano meno incisive, e nei suoni si avverte uno strano senso di consuetudinario, se non addirittura di banalità. Chitarrine languide, melodie facili (o facilotte), che altri hanno saputo interpretare in maniera parecchio migliore – due nomi su su tutti: Mac De Marco e Smith Westerns. È un sound che caratterizza sostanzialmente più metà del disco, sei canzoni durante le quali Wild Nothing sembra quasi voler porre un freno alla sua ispirazione: in questo senso, forse il titolo dell’album “Life Of Pause” è molto più significativo di quello che ci si immagini.
Peccato, questa volta è andata (così) così.
62/100
(Enrico Stradi)