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A due anni di distanza dal fortunatissimo “Relax”, tornano i Texani con “Freaks of Nurture”, il loro terzo disco.
A questo giro, i nostri portatori sani di psichedelia abbassano i toni più garage con cui avevamo imparato a conoscerli per concentrarsi sul loro aspetto lisergico, creando una cornice decisamente più soft, ovattata e –va da sé- anche un po’ ‘stonata’.
Uno sguardo quindi ai ’60 californiani, legati più all’importanza di uno specifico sound e alla spensieratezza che alla costruzione di riff potenti e d’effetto.
Quindi tra riverberi alzati al massimo, batterie svogliate, organi acidissimi e una voce lontanissima, i cinque ragazzotti di Austin mettono a segno un colpo deciso per l’evoluzione del proprio sound, rendendolo più maturo ed affrancandolo da quel garage ossessivo punto di partenza di un sacco di gruppi dediti alla riscoperta dei magici Sixties (anche se, dobbiamo ammettere, i Nostri se la cavano piuttosto bene e meglio di molti altri anche lì).
La centralissima “California Took My Bobby Away” potrebbe rappresentare l’emblema di questa evoluzione: con il suo incedere vagamente dream-pop, compone progressioni stupefacenti (scusate la battutaccia); “Our Pigs” avanza speditamente scalcinata mentre chitarra e tastiera danzano assieme per stendere un tappeto sonoro; l’iniziale “She Puts a Seed in My Ear” è la migliore introduzione possibile, dolce e trippy al punto giusto per piazzare di seguito un’altra ballata acida come “Wendy Go Round” (debitrice del periodo in cui John Lennon era fidanzato con un cartone di LSD).
Prendetevi una mezz’oretta, scaldate l’acqua per una tisana, accendetevi uno spliff e abbassate la puntina del giradischi su “Freaks of Nurture” (questo quadretto perfetto verrebbe rovinato dal digitale). Godetevi il viaggio.
78/100
(Matteo Mannocci)