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“Call it what it is”: onesto. L’ultimo lavoro di Ben Harper, riunitosi quantomeno discograficamente con i suoi Innocent Criminals dopo ben otto anni, questo è. E’ un album che non ha troppe pretese, che sa di bentornato a casa e che ci riporta al Ben delle origini. Registrato nel giro di un anno in sessioni separate anche lontane mesi l’una dall’altra, è una mistura un po’ inconsistente ma a tratti brillante di tutto quello che Ben già ci ha proposto.
Ad aprire le danze dell’album è il rock un po’ nostalgico di “When sex was dirty”, non a caso dedicata agli amici di una vita, dove è la batteria di Oliver Charles a condurre. Si continua con la folk ballad “Deeper and deeper” e la voce di Ben, suo inimitabile marchio di fabbrica, ci ricorda quanto ci mancava. Segue la title track “Call it what it is”, pretesto che l’Harper impegnato utilizza per condannare gli abusi della polizia americana contro gli afroamericani, in particolar modo riferendosi agli assassini di Ford, Brown e Trevor Martyn avvenuti un paio di anni fa.
L’album procede, ahimè con poca coesione, passando da una aggressiva, strimpellante e un po’ blues “How dark is gone”, al dolce reggae di “Finding our way”. In mezzo, “Pink Ballon”, il successone radiofonico che ha anticipato l’uscita dell’album ma che, onestamente, è già riuscita a stufarci.
Insomma, Ben Harper e i The Innocent Criminals non ci elettrizzano né ci stupiscono con nulla di nuovo, riproponendoci anzi una formula già conosciuta a base di blues, rock, folk, country, r’n’b e reggae, ma che, d’altronde, non lo possiamo negare, ancora funziona bene. Ne saranno contenti i longtime fans, che da tempo speravano in questa reunion e che ora non devono fare altro che aspettare che la band inizi il tour e (magari!) annunci anche una data italiana.
60/100
(Virginia Tirelli)