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Eccoci qui, sulla Croisette. Queste poche parole bastano a rassicurare chiunque abbia temuto ribaltamenti di pullman o arresti alla frontiera (neanche così improbabili, di questi cupi tempi). Avendo una rara capacità nell’attirare le sciagure, a Cannes il tempo è a dir poco nuvoloso, e stanotte ha piovuto in lungo e in largo. La speranza è che i gesti apotropaici e le preghiere sussurrate da un intero esercito di accreditati spingano la natura o qualsivoglia divinità a portare il sole. Staremo a vedere…
Nel frattempo il festival ha iniziato a entrare nel vivo, le fioriere sono state messe al loro posto, i bus e il traffico deviati in modo da non intralciare il passeggiare convulso di chi qui viene a vedere, comprare, vendere o valutare film, l’immagine-simbolo di quest’anno (tratta da “Il disprezzo” di Jean-Luc Godard) campeggia sulla Salle Debussy. Per ora i tanto strombazzati controlli a tappeto, che ieri hanno addirittura portato a un’esercitazione a sorpresa con tanto di evacuazione del Palais, non si sono fatti vedere. La paura di attentanti terroristici sembra labile, e tutto acquista il valore più una dimostrazione dell’organizzazione a un paese che nell’ultimo anno e mezzo si è vista attaccare due volte che di una vera e propria urgenza. Dopotutto il “festival dei festival” non appare come un obiettivo realmente sensibile.
Detto ciò le proiezioni sono già iniziate, e ad aprire le danze è stato il film scelto per l’apertura ufficiale del festival, “Café Society” di Woody Allen. Non si può che voler bene al buon vecchio Woody, e chi si lamenta del fatto che oramai i suoi film ruotino sempre intorno al medesimo discorso, come si trattasse di un disco rotto, non ha forse compreso fino in fondo il significato che il fare cinema acquista per il newyorchese più famoso dei nostri tempi. Anche “Café Society” è una riflessione sulla morte, sulla paura della morte e della perdita di ogni cosa, in particolar modo della memoria. Si resta nel limbo del sogno, perdendosi nel nulla dell’illusione romantica, scacciando una volta di più la realtà un passo oltre, più in là, lontano. Non è esente da difetti l’ultimo film di Allen, il quarantaseiesimo di un’onoratissima carriera, ma questi vengono riscattati da una scrittura ironica ma densa di una dolcezza dimessa, quasi che l’amore tra Jesse Eisenberg e Kristen Stewart – molto bravi entrambi – sia qualcosa di perduto e di prezioso, gemma da preservare. Lo accompagna in questa sua nuova avventura, la prima girata in digitale, la straordinaria fotografia di Vittorio Storato, che si diverte a giocare con timbri e toni di luce con una maestria fuori dal comune. “Café Society” non cambierà la vita di nessuno, probabilmente, ma quando Woody Allen non ci sarà più questo sarà un mondo più vuoto, e più triste.
Stasera prenderà il via anche il concorso, con la proiezione di “Sieranevada” di Cristi Puiu, tra i grandi registi del cinema rumeno contemporaneo (suoi “Aurora” e soprattutto lo splendido e straziante “La morte del signor Lazarescu”). Le aspettative sono molto alte, speriamo vengano mantenute.