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Quando piove il sole può apparire il miglior alleato dell’accreditato, che agogna il momento in cui crogiolarsi sotto i caldi raggi dorati; poi il sole decide di arrivare e di fare sul serio, in questo maggio sulla Costa Azzurra, e l’accreditato in fila a rischio insolazione sogna l’arrivo delle nubi. Incontentabili… In realtà la cosa peggiore, se si è accrediti bleue come il sottoscritto (penultima categoria sociale nella catena evolutiva del festival, dopo blanche, pastille e rose, e prima solo degli sfigatissimi jaune), è dover affrontare l’ingresso in sala alla Debussy alle 19. Così come faticoso era stato resistere prima dell’ingresso in sala per “Paterson”, altrettanto arduo è stato l’approccio a “Personal Shopper”, il nuovo film di Olivier Assayas presentato in concorso. Ma, esattamente come nel caso di Jarmusch, l’attesa è stata a dir poco ripagata. Storia di fantasmi che nasconde una riflessione sull’immateriale, sull’inconsistenza dei rapporti umani e sullo svanire, “Personal Shopper” è apparso già durante la visione uno dei titoli più forti e convincenti del concorso; il fatto che sia stato accolto da una selva di fischi – gli ectoplasmi non vanno di moda a Cannes, e buona parte della stampa alla prima incursione nel soprannaturale senza puzzo di religione va in iperventilazione – non fa che rafforzare l’idea che negli anni a venire, ripensando all’edizione numero 69 del festival, la mente correrà sul corpo di Kristen Stewart (praticamente unico elemento di “vita” del film) e sul suo vagare tra Parigi e Londra, tra una boutique d’alta moda e una casa abbandonata e forse posseduta da uno spirito rancoroso.
A ritroso nella giornata. Nel pomeriggio mi sono intrufolato a una proiezione del Marché, dove sono riuscito a vedere il nuovo film di Takashi Miike, “Terra Formars”, che attendevo con notevole curiosità da qualche mese. Curiosità destinata a trasformarsi in delusione, visto che si tratta di uno dei Miike meno ispirati di sempre, del tutto a servizio di una storia di per sé non particolarmente interessante – il combattimento tra scarafaggi antropomorfi e uomini cui è stato iniettato un siero che trasforma in pseudo-insetti – e limitato da una forma di blockbuster alla quale non riesce ad aderire con convinzione. Peccato. In precedenza era stata la volta di altre due delusioni: una minima (“Psycho Raman” di Anurag Kashyap, visto alla Quinzaine: thriller più anodino rispetto ai precedenti del regista indiano, ma comunque interessante e a tratti anche esaltante), e l’altra enorme. Lo ammetto, nutrivo fiducia nei confronti di Jeff Nichols, del cui cinema mi ero appassionato all’epoca di “Take Shelter”. Ora, a distanza di non troppi anni, è giunto il momento di arrendersi alla verità, come conferma “Loving”, presentato in concorso. Questo biopic che vorrebbe raccontare la storia dei diritti civili – e delle coppie miste – nell’America degli anni Cinquanta/Sessanta, è bolso, prevedibile e stantio: non un solo elemento appare personale, né si giustifica in alcun modo la sua corsa per l’eventuale Palma d’Oro (che sembra improbabile, ma non si sa mai). Se questo è il nuovo cinema a stelle e strisce, mi tengo tutta la vita Steven Spielberg e Jim Jarmusch…