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Definire i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne degli abituali frequentatori del concorso di Cannes significa lasciarsi andare a un eufemismo. I Dardenne, ogni due anni, sono in concorso sulla Croisette: senza se e senza ma. Ininterrottamente. Neanche Pennywise in “It” era così puntuale nel tornare alla ribalta. Se il precedente “Due giorni, una notte” (anno domini 2014, ovviamente) segnava uno scarto in positivo, riportando i due registi sotto i fanali dei riflettori con grande merito, “La Fille inconnue” segna un clamoroso passo indietro. Nel voler mettere in scena il senso di colpa dell’occidente nei confronti di chi chiede aiuto, i due registi belgi si affidano a uno script debole, incapace di scalfire la superficie per muoversi in profondità; tutto rimane dunque nel campo del banale, e anche la volenterosa interpretazione di Adele Haenel, vista già ne “Les combattants” di Thomas Cailley e “L’homme qu’on aimait trop” di André Téchiné, finisce per diventare monocorde e incolore. La sala ha reagito ai titoli di coda con estrema freddezza: che la parabola dei Dardenne al Palais si sia fatta discendente? Lo sapremo tra due anni…
Stavolta probabilmente ho toppato nelle scelte, preferendo i Dardenne a “Two Lovers and a Bear” (Quinzaine des réalisateurs) di quel Kim Nguyen che anni fa mi rapì con l’ottimo “Rebelle”: questo pare non essere allo stesso livello, ma un orso che parla avrebbe potuto rischiarare questi stanchi ultimi giorni sulla Croisette.
A farlo non ci ha pensato Na Hong-jin con “The Wailing” (che promette meraviglie; si recupererà nei prossimi mei) ma il grande vecchio Paul Vecchiali, che a ottantasei anni compiuti viene per la prima volta selezionato a Cannes con “Le Cancre”, infilato tra le séances spéciales del festival. Non una delle sue opere più riuscite, probabilmente, ma quanta libertà! Quanta passione! Quanto Cinema, di quelli con la c maiuscola, senza bisogno di alcun orpello. La maggior parte dei pochissimi accrediti stampa accorsi alla proiezione non ha gradito, ma l’ottuagenario Vecchiali ha portato a Cannes una ventata di aria fresca, e di poesia romantica. Non cose di tutti i giorni.
Nel pomeriggio è stato presentato anche “La tortue rouge” di Michael Dudok de Wit, prodotto dallo Studio Ghibli: avevo avuto modo di vederlo giorni prima al Marché – non ne ho scritto sul diario per espressa volontà della casa di produzione e distribuzione – e ne ero rimasto rapito. Una meraviglia per gli occhi, animazione a livelli altissimi che si lega a una riflessione sulla caducità dell’uomo che stravolge e commuove. Praticamente muto (gli unici esseri umani in scena si esprimono a versi) ma di straordinaria potenza espressiva. Se mai dovesse uscire in Italia – magari con la Lucky Red – non lasciatevelo scappare.
La giornata si è chiusa con la proiezione in concorso di “Juste la fin du monde” di Xavier Dolan e in Un certain regard di “After the Storm” di Hirokazu Kore-eda. Il primo conferma il talento del giovanissimo regista canadese ma anche la sua parziale immaturità, il secondo invece dimostra come un grande regista – quale Kore-eda – non abbia bisogno di un granché per architettare una narrazione emotivamente forte e una messa in scena impeccabile. Nessuno dei due, comunque, rientra tra i colpi al cuore di questa edizione. Di un paio di questi vi parlerò domani…