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Gli Abigails sono la creatura di Warren Thomas, ex cantante dei Grand Elegance e batterista, per un periodo, dei Growlers. La band, che ruota attorno alla figura di Thomas, propone un incrocio, strano e malato, tra country, punk e garage rock: come se il fantasma di Hasil Adkins scrivesse canzoni country. Il 20 maggio esce, grazie alla Annibale Records, la ristampa europea di “Tundra”, secondo album del gruppo uscito nel 2013 in cassetta e poi in vinile nel 2014 per la Burger Records. Uscita discografica che coincide con l’inizio del tour europeo con date in Belgio, Francia, Spagna, Regno Unito, Slovenia, Svizzeria, Germania, Austria. Ed a giugno qualche concerto anche in Italia: il 3 a Brescia (Lio Bar), il 6 a Firenze (un secret show) ed il 7, in compagnia di Ty Segall & the Muggers, Royal Headache, White Fence, Dirty Fences ed Audacity, al Beaches Brew , festival gratuito di caratura internazionale sulla spiaggia dell’Hana-Bi di Marina di Ravenna.
Per l’occasione vi proponiamo, quindi, un’intervista con Warren Thomas.
Prima del 2011 non avevi mai suonato la chitarra: nei Grand Elegance cantavi e nei Growlers suonavi la batteria. Perché hai cominciato a scrivere canzoni con la chitarra. Cosa stava succedendo? Suona come un viaggio un po’ pazzo.
Essere stati in tour con i Growlers per me è stato molto eccitante e vedere l’America per la prima volta non è paragonabile a nessuna esperienza vissuta da me prima. Ricordo di aver desiderato di poter afferrare una chitarra acustica, sedermi e suonare sulla riva di un fiume o in prossimità delle dolci colline del North e del South Carolina, forse sulla spiaggia di St. Augustine, Florida. Tutti questi luoghi sono stati una grossa fonte d’ispirazione.
Sapevo che l’unico modo per soddisfare questo desiderio travolgente di suonare era quello di imparare da autodidatta, così buttai giù qualche accordo di base e, sebbene frustrato all’inizio, lentamente cominciai ad essere capace di suonare un paio di canzoni e presto stavo scrivendone di mie personali.
In questo periodo smisi di suonare con i Growlers e volevo iniziare qualcosa di nuovo, dopo aver suonato nei Grand Elegance per più di dieci anni. Fu allora che, insieme al mio buon amico Kyle Mullarky , ho formato gli Abigails e le mie canzoni, con l’aiuto di Kyle, hanno cominciato a fiorire.
In “Tundra”, secondo album degli Abigails, ci sono due cover: “For you”, brano di Roky Erickson e “It’s nothing to me”, pezzo di Leon Payne. Ho letto su Internet che “For you” è la prima canzone che hai imparato a suonare con la chitarra. Ma qual è il motivo per cui hai scelto la canzone di Leon Payne?
Sì, vero, “For you” è stata la prima canzone che ho imparato a suonare con la chitarra, è una canzone semplice ma bella e chi mi ha ispirato. Per quanto riguarda “It’s nothing to me” esiste un’intera compilation chiamata “God less America” ed è piena di queste canzoni country-western del ’55-’56 che sicuramente all’epoca non sono state mandate in onda da nessuna stazione radio poiché i soggetti delle canzoni hanno prevalentemente a che fare con droghe, donne ed alcolici.
C’è una canzone chiamata “Psycho” , scritta da Leon Payne, sono stato (e lo sono ancora) molto addentro alla cover del brano fatta dai Beasts of Bourdon ed attraverso qualche ricerca ho scoperto che (Payne) aveva scritto il pezzo “It’s nothing to me”, che è sulla compilation. Sembra ci sia molta confusione sull’autore di un brano come “It’s nothing to me”. Penso ci siano state molte cover delle canzone: Lee Hazlewood ha un prodotto una versione, quella su “God less America”, cantata da Sanford Clark e che Leon Payne accreditò ad un nome inventato, Harry Johnson. Vedi, a quei tempi venivi bandito dall’airplay radiofonico se scrivevi una canzone sull’essere uccisi, e così per non rischiare, Leon Payne non si è accreditato come autore della canzone.
Comunque, scusa per la lezione di storia. Fondamentalmente ero davvero coinvolto da questa canzone, fin dalla prima volta che l’ho ascoltata. Mi piace molto quando un brano può avere qualcosa come un ritornello o può essere suonato con un semplice assolo di chitarra. È anche una grande storia e Payne adotta sostanzialmente un punto di vista esterno esprimendo i suoi pensieri nella sua testa senza agire su di essi perché non gli interessa cosa accade ai suoi compagni. È una canzone a cui posso rapportarmi, è una situazione che ho visto mille volte ed a parte ciò, anche se non ne capissi una parola, penserei sempre che è una bella canzone.
Di solito scrivi canzoni – come hai detto molte volte – quando non ti senti bene. Così attraverso la musica dai voce al lato oscuro della vita: il diavolo, le droghe, la prigione ecc. Ed infatti i tuoi brani sono spesso storie su qualcosa che ha incasinato la tua mente. Questo metodo di scrittura mi fa pensare a una frase da te citata in un’intervista di qualche anno fa : ” Il Country è semplicemente il blues dei bianchi”. Forse è vero, il country è la via americana allo storytelling. E tu lo fai in un modo strano, non tradizionale con un band garage/psichedelica. E quindi cosa influenza di più, a livello musicale, la tua scrittura?
Tendo ad essere attratto dai contenuti scuri, sebbene mi piaccia musica di ogni genere. Sembra ci sia una connessione cosmica tra persone come Nick Cave, Tom Waits, Shane McGowan e latri ancora come Jeffrey Lee Pierce, Lux Interior ed altre band più moderne che trasmettono una presenza narrabile come l’afflizione dei Blackheart procession e l’asprezza dei Country teasers. Non è che sono necessariamente influenzato da questi musicisti o gruppi ma la loro musica mi è familiare. Mi piace la ferita di persone come Hank Williams e Gram Parsons, lo puoi sentire quando cantano. Sono poi eccitato da una nuova sensazione in cui sono capitato, di nome Charlie Megira. Ascoltarlo live mi ha fatto sentire una genuina eccitazione dentro, ho provato invidia per le sue canzoni al punto che avrei desiderato di averle scritte io e di ottenere lo stesso suono vocalmente, così come sul piano strumentale. Sono sempre stato confuso su come deve essere sentirsi influenzato da qualcuno/qualcosa ma immagino che sia qualcosa di simile.
(Monica Mazzoli)