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Dopo tre giornate intense, bisogna preservare le ultime energie per il sabato che offre non poche chicche, in un cartellone che in tanti si sono sbilanciati a definire uno dei migliori di sempre.
Si parte come al solito con il sole alto e temperature quasi estive, ma l’Hidden Stage offre ombra e sollievo nel suo palco sotterraneo che ospita il maestro Bob Mould. Senza band, solo la sua inconfondibile chitarra, i suoi fuzz e la sua voce. Probabilmente gli Hüsker Du saranno l’unica band a non cedere, per ovvi motivi, alle tentazioni economiche di una reunion. Ma ci accontentiamo così.
I Boredoms ci fanno tornare all’esterno con una scossa che ridesta tutti dal torpore pomeridiano mentre si iniziano a macinare i primi chilometri per dirigersi verso uno dei palchi principali. Wild Nothing è alla sua seconda apparizione da big, ed è uno degli artisti preferiti dallo staff del Primavera. Rispetto all’ultima esibizione forse ancora non adatta a quelle dimensioni, Jack Tatum dà una prova di maturità, dopo un disco che non è stato apprezzato da molti, ma live va molto meglio. Dopo un assaggio di The Chills, tra i nomi storici più attesi ed emozionanti del weekend, e di Dam Funk (perfetto per l’orario e le vibrazioni pomeridiane che si respirano al Parc), tocca al nome che ha lasciato in tanti a bocca aperta il giorno dell’annuncio: Brian Wilson. “Pet Sounds”, uno dei dischi su cui non c’è bisogno di indugiare in commenti e presentazioni, compie 50 anni e l’icona dei Beach Boys lo propone con la sua orchestrina senza tempo, dalla prima all’ultima nota. Le emozioni e i sentimenti superano l’inevitabile amarezza per la resa live di un eccentrico signore di 70 anni che ha già dato tutto. A ogni modo, immagini e ricordi da conservare a lungo nella memoria.
Dopo di lui si fa un salto nel futuro di mezzo secolo per la performance più intensa, coraggiosa e dal respiro contemporaneo di questa edizione. Jenny Hval regala un inquietante spettacolo performativo tra parrucche bionde, scenografie minimali, con la sua voce che riesce a stregare anche i passanti meno interessati.
A seguire si torna ai palchi principali dove i Deerhunter, altri habitué del Primavera Sound, si presentano per la prima volta in formazione allargata con tanto di percussioni e un mood molto esotico. Anno dopo anno, il loro seguito cresce e la resa live è sempre più impeccabile.
Il tempo di godersi qualche brano dei granitici Drive Like Jehu che è già tempo di tornare al palco Pitchfork per la parentesi hip hop del giorno, un genere che da sempre ha avuto il suo spazio al Parc, ma che negli ultimi anni, forte dei successi di molti nomi nuovi e del meritato hype che vi ruota attorno, sta regalando dei nomi imperdibili (uno di questi, Freddie Gibbs è costretto ad annullare per un mandato di cattura legato a vecchi episodi di violenze). Uno di questi, il più atteso, invece è confermassimo: l’unico presidente di Kanye West, quello della sua label GOOD Music, Pusha-T. Storico componente dei Clipse, nella sua carriera solista continua a dare lezioni e dal vivo non delude le attese.
Ancora un’altra traversata verso i palchi principali è d’obbligo per un altro dei nomi clou. PJ Harvey regala un intenso e funereo spettacolo dalle tinte molto dark con una formazione molto estesa e di alta classe (con gli italiani Enrico Gabrielli e Asso Stefana) per il tour di “The Hope Six Demolition Project”. Gli anni per lei non sembrano passare mai e riesce a eguagliare la formidabile performance del suo ultimo Primavera, nel 2011. Un’autentica regina.
Così la Polachek dei Chairlift che hanno già iniziato il loro show sotto al palco Pitchfork, sembra una principiante in confronto. Peccato perché il suo fascino, la tenuta del palco e la sua voce, così la proposta musicale molto fresca e attuale del duo hanno pochissimi punti deboli. Non c’è tempo per riflettere. I tempi come sempre diventano velocissimi e le sovrapposizioni sempre meno gestibili.
Ancora hip hop sul palco Primavera con uno dei rapper bianchi più coinvolgenti e trascinanti del momento: Action Bronson è molto contenuto nelle sue solite manifestazioni di esuberanza. Preferisce rappare, mettendo in secondo piano l’aspetto più circense.
Tra palco Adidas e palco Pitchfork suonano praticamente in contemporanea gli inossidabili Unsane e i più giovani, ma comunque solidi, Parquet Courts. Gli animi si accendono e ci pensa subito Julia Holter a mandare a letto chi non ha più nulla da dare con un live classicheggiante e sofisticato, nel suo ideale spettacolo della buonanotte all’arena Rayban. Ma la notte è ancora lunga. I Roosevelt regalano altre chitarre per i più instancabili e nel palco Adidas si consuma il rito più coraggioso e selvaggio con i pirotecnici HO99O9, noise-rapper matti per l’hardcore che tirano davvero giù tutto. Le contaminazioni Islam Chipsy & EEK danno infine una ventata di novità e iniziano a fare ballare chi alle quattro è appena entrato in quel mood. Ci pensa la classe e la ricerca di DJ Richard, in un lunghissimo DJ set che ci accompagna verso le luci dell’ultima alba catalana a spazzare via ogni collegamento con la realtà e ogni energia per la chiusura perfetta di un’edizione che ancora una volta resterà ben impressa nella storia dei festival europei. E non solo.
Gli highlight:
16:36 – “Senza di lui non ci sarebbero molte cose che ci piacciono. Fila fatta per Bob Mould all’Hidden Stage”
17:25 – “Bob Mould. Grazie zio”
18:03 – “Leggerezze pomeridiane: Boredoms”
18:13 – “Wild Nothing guadagna i big stage solo qui. Le nuvole rendono tutto più appropriato”
19:15 – “Momento revival del giorno: The Chills”
20:29 – “Tramonto Gomorra verso Brian Wilson”
20:57 – “Finalmente si torna nel presente con l’inquietante Jenny Hval e le parrucche bionde. Tra i momenti migliori del festival.”
22:21 – “Il presidente Pusha T dà una variazione al tema dopo chitarre vecchie e nuove (Drive Like Jehu, Deerhunter)”
1:55 – “Sua sobrietà TY SEGALL & THE MUGGERS”
0:20 – “Quel tracagnotto di Action Bronson”
6:12 – “E si chiude così. “